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Il sale rosa dell'Himalaya
In passato le mie conoscenze sul sale da cucina si limitavano al comune cloruro di sodio (iodato o non), nonostante il sale non sia tutto uguale. Ne esistono di molti tipi, di diversa provenienza, e con colori diversi tra loro. Studiando e ricercando, ho conosciuto il sale rosa dell’Himalaya.
Andiamo però con ordine. Il cloruro di sodio (NaCl), è il sale di sodio dell'acido cloridrico. E' il classico sale da cucina, molto abbondante in natura. La maggior parte è disciolta nel mare, e arriva sulle nostre tavole grazie a processi di evaporazione di ampi specchi d’acqua situati in stabilimenti detti saline. In parte si trova anche come minerale allo stato solido in giacimenti di terraferma, le salgemme. I cristalli di sale così ottenuti sono generalmente sottoposti a raffinazione, che prevedono passaggi per rimuovere residui di minerali (zolfo, magnesio, calcio, potassio, ferro) e polveri, per ottenere una percentuale quanto più pura di cloruro di sodio (99,5%). La critica più grande che viene mossa riguarda i mari, sempre più inquinati, che fornirebbero sale molto impuro e costretto quindi a processi di raffinazione aggressivi.
Come si sa che il sale è fondamentale per la vita sulla terra (basti solo pensare alla trasmissione dei segnali sensoriali e motori lungo il sistema nervoso), si sa anche che è dannoso soprattutto per le persone che soffrono di pressione alta, di insufficienza renale, di cirrosi. In generale l'uso di sale va sempre limitato nella propria dieta, anche dalle persone sane, perché nel tempo predispone all'ipertensione e alla ritenzione idrica. Favorisce inoltre l'escrezione renale di calcio, di cui la dieta è spesso povera. Stimola ovviamente la sete, aumentando il rischio di assunzione di bevande molto caloriche (zuccherate ed alcoliche).
Per quanto riguarda il sale rosa dell'Himalaya,si tratta di un sale di roccia, ottenuto per estrazione nelle miniere di Khewra, in Pakistan, la seconda più grande miniera di sale del mondo (dopo quella boliviana di Uyuni). Queste miniere si sono formate milioni di anni fa a seguito dell’evaporazione di ampi specchi di mare contenuti nelle catene montuose himalayane. Dappertutto si legge che è considerato uno dei sali più pregiati al mondo, perchè oltre al cloruro di sodio conterrebbe molti più oligoelementi e sali minerali. Ma quali? E quanti? Non c’è molta chiarezza tra le fonti che ne parlano, senza contare che comunque più del 95% è composto da cloruro di sodio.
Gli sono state attribuite molte proprietà benefiche, le più curiose sono la regolazione della pressione sanguigna, la depurazione dell’intestino dalle tossine, la cura di malattie da raffreddamento, la cura di malattie legate all’ansia e ai disturbi della concentrazione. La tradizione vuole che venga raccolto a mano, selezionato, lavato in soluzione satura per togliere polvere e residui, eventualmente macinato e impacchettato. Non dovrebbe avere nessuna aggiunta di altri componenti chimici. Il suo colore generalmente è rosa pallido, per via dell’alto contenuto di ferro, che però è scarsamente biodisponibile e quindi non del tutto assimilabile dall’organismo. La verità è che assunto in dosi eccessive fa male tanto quanto il comune sale da cucina, e la presenza di eventuali sali minerali in più è minima. Di nuovo, nulla che non si possa prendere da altri alimenti, anche da altri tipi di sale meno raffinati prodotti però in Italia. In più, le miniere di Khewra sono un’attrazione turistica con circa 250.000 visitatori all’anno, e il sale viene ormai estratto con metodi industriali. Il suo costo è a mio avviso ingiustificato e sproporzionato.
L’unico fattore che lo distingue? Il sapore. Ha un gusto più delicato del normale sale da cucina, ed effettivamente esalta con gentilezza il sapore delle pietanze.
Attendo pareri!
Ricetta: mini anguria gialla e semi di chia
Per la prima volta ieri ho assaggiato le mini angurie gialle. Di sapore molto simile alle tradizionali rosse, sono l'ideale per la colazione o uno spuntino.
Ho aggiunto qualche seme di Chia, ma si possono benissimo sostituire con mandorle o noci, o perché no, semi di sesamo.

Che ne pensate? Provateci!
6 modi per riconoscere un vero professionista della nutrizione
E' arrivata l'estate, e con lei un fiorire di informazioni su portali, riviste, volantini, su un unico argomento: il perdere peso prima di andare in vacanza. Al giorno d’oggi tutti sembrano essere diventati esperti di alimentazione e si fa fatica a districarsi nel mare di informazioni, dalle quali siamo costantemente bombardati da ogni lato. Che si tratti di diete last-minute su riviste settimanali, consigli su siti web, piani alimentari da persone generiche, dico: bisogna prestare attenzione con chi ci si rapporta.
In Italia, sono solo due le figure che possono elaborare regimi alimentari in piena autonomia. Parlo del Medico e del Biologo. Controllate quindi sempre che abbiano la laurea e che siano iscritti ai rispettivi albi. E' semplice e alla portata di tutti, basta effettuare una ricerca sui siti degli Ordini Professionali. Purtroppo, e sottolineo purtroppo, anche questo non è sempre sinonimo di garanzia. Di seguito riporto le caratteristiche che un buon Nutrizionista dovrebbe avere, e che, a mio avviso, è sinonimo di professionalità e competenza.
1) Non dovrebbe promettere una perdita importante di peso in un breve periodo di tempo. Dovrebbe piuttosto stabilire con voi una tabella di marcia, che sia quanto più conforme ad uno stile di vita sano equilibrato sia dal punto di vista fisico che da quello psicologico.
2) Non dovrebbe prescrivere farmaci (il Biologo NON può) o pasti sostitutivi che facciano perdere drasticamente peso. Salvo alcune rarissime occasioni, solo controllando la propria alimentazione si può arrivare al risultato desiderato. E' inimmaginabile infatti che si possa avere questo stile di vita per sempre: quando si tornerà a mangiare, si riprenderanno tutti i kg persi, e con gli interessi.
3) Non dovrebbe elaborare diete del tipo “dieta dell'anguria” o “dieta della frutta e della verdura verde”. Tutti i nutrienti, che siano carboidrati, grassi e proteine devono essere presenti nel giusto rapporto tutti i giorni a seconda del caso. Diffidate anche di chi prescrive diete appartenenti ad una precisa corrente. La dieta deve essere varia, completa e sostenibile.
4) Non dovrebbe spingervi ad effettuare costosi test di intolleranze alimentari, fuorchè quelle al lattosio e al glutine. Ad oggi, sono le uniche due intolleranze la cui presenza può essere scientificamente provata con metodiche standard e ripetibili. Ricordo inoltre che le intolleranze non fanno ingrassare: piuttosto fanno stare molto male le persone che ne soffrono, quindi diffidate di chi attibuisce l’aumento di grasso a intolleranze generiche.
5) Non dovrebbe consegnarvi la dieta il giorno della prima visita. Si tratterebbe di un modello pre-stampato che va bene per tutti. Diversamente, ogni piano alimentare deve essere strutturato ad hoc per ogni singola persona che si rivolge al Nutrizionista. Uno studio attento e preciso richiede il suo tempo, ma d'altronde la scrupolosità della visita compensa l'attesa.
6) Non dovrebbe promettervi che la dieta risolve ogni problema. Bisogna cambiare stile di vita, e quindi introdurre nella propria quotidianità l'attività fisica. Se si è convinti nel cambiare registro e mantenere i risultati a lungo termine, dobbiamo anche muoverci. La dieta aiuta, ma non è la soluzione.
I carboidrati
La realtà è che abbiamo a disposizione un’enorme quantità di informazioni sull’alimentazione e sulla nutrizione, ma spesso riferiamo concetti “per sentito dire” e non sempre siamo davvero a conoscenza di quelli basilari. Scopo di questa categoria è di approfondire i fondamenti della nutrizione in maniera semplice e discorsiva, permettendo però a tutti di comprendere argomenti di più ampio respiro.
Oggi parliamo di carboidrati, più comunemente conosciuti come zuccheri. Adorati da una parte, demonizzati dall’altra… cosa sono realmente? Che ruolo hanno nella nostra alimentazione quotidiana? Vediamone insieme qualche aspetto.
I carboidrati (o glucidi), sono – proprio come dice il nome – idrati di carbonio, in quanto i loro composti più semplici sono costituiti da carbonio, idrogeno ed ossigeno. Sono stati suddivisi in tre grandi gruppi, i monosaccaridi (come glucosio, galattosio, fruttosio), composti da singole molecole e con un sapore dolce; i disaccaridi, due molecole di monosaccaridi (come saccarosio e lattosio); i polisaccaridi, composti fino a diverse migliaia di monosaccaridi (come amido, glicogeno e cellulosa).
MONOSACCARIDI: E’ importante sottolineare anche che, in base al numero di atomi di carbonio, i carboidrati si suddividono in triosi, tetrosi, pentosi, esosi. Di questa ultima categoria fanno parte il glucosio, il galattosio ed il fruttosio, tutti monosaccaridi. Il glucosio si trova nella frutta, nella verdura, nel miele, viene sintetizzato dalle piante e accumulato come amido (per esempio nelle patate e nel grano). Il fruttosio è molto diffuso nel mondo vegetale, nella frutta e nel miele.
DISACCARIDI: Il lattosio è l’unico disaccaride di origine animale, poiché viene sintetizzato dalle cellule della ghiandola mammaria e si trova nel latte dei mammiferi, a cui conferisce il tenue sapore dolce. Può dare intolleranza. Il saccarosio è il comune zucchero da tavola, è composto da una molecola di glucosio e una di fruttosio, di cui è una volta e mezza meno dolce!
POLISACCARIDI: L’amido è lo zucchero di riserva delle piante. E' presente principalmente nei cereali, nei legumi e nei tuberi, motivo per il quale gli alimenti che ne contengono di più sono pane, pasta, patate, biscotti, cornflakes, frutta. mentre il glicogeno è quello di riserva degli animali.
Lo sapevi che... il miele contiene poco saccarosio poiché le api trasformano quello presente nel nettare dei fiori, ottenendo una miscela di glucosio e fruttosio che risulta più dolce? Per lo stesso principio, grazie al calore e agli acidi presenti nella frutta, durante la preparazione delle confetture e delle marmellate, esse risultano più dolci a cottura ultimata.
Generalizzando, i carboidrati svolgono tre importanti funzioni: una energetica, sotto forma di glucosio nel sangue e di glicogeno nei muscoli e nel fegato, sono di pronto utilizzo; una strutturale, poiché fanno parte degli acidi nucleici (DNA, RNA) e di altre molecole; regolatrice, perché servono come punti di contatto fra cellule.
A noi interessano particolarmente perché sono fondamentali nella nutrizione umana. Mediamente forniscono 4 kcal per grammo, e l’apporto maggiore nella dieta avviene sotto forma di amido (pane, pasta, riso, patate, fagioli, piselli), che è digeribile dall’organismo. La parte non assimilabile invece costituisce la fibra alimentare, importante nello stesso modo poiché dà un precoce senso di sazietà, regola le funzioni intestinali, trattiene e rilascia più lentamente i nutrienti e disintossica l’organismo diminuendo il tempo di contatto delle feci con le pareti intestinali. Costituiscono la base della piramide alimentare: questo significa che vanno consumati giornalmente, nelle modalità e nelle quantità che variano da persona a persona in base a molti parametri. Ne parleremo successivamente.
Un eccesso di carboidrati nella nostra dieta non è salutare in quanto quelli assunti in eccesso vengono trasformati in grasso, e una presenza eccessiva di glucosio nel sangue a sua volta porta a una serie di eventi negativi; d’altra parte, una carenza di carboidrati rende particolarmente difficile il rifornimento di glucosio all’organismo, soprattutto per i lavori di una certa intensità fisica e mentale.
Lo sapevi che... il solo sistema nervoso centrale necessita di circa 180 grammi di glucosio per un uomo di 70 kg al giorno per svolgere le proprie funzioni in maniera ottimale?
Bibliografia
- Cappelli, Vannucchi: Principi di scienza dell'alimentazione. Zanichelli editore.
I superfoods
Tante volte abbiamo sentito parlare di cibi o bevande "miracolosi" che sembravano poter rivoluzionare la nostra vita: effetto dimagrante, drenante, antiossidante, elisir di lunga vita, riduzione del colesterolo. E magari qualche volta non abbiamo resistito a comprarli e provarli, spinti dalla curiosità e dal potere eccezionale della pubblicità.
Questo trend trova la sua massima estensione negli Stati Uniti, dove la moda dei "Superfoods" (super cibi, per l'appunto) sta spopolando. Alimenti dalle presunte proprietà miracolose sembrano poter porre rimedio a chili di troppo e a problemi di salute, e di poter sostituire quello che invece non andrebbe mai sostituito, una dieta varia ed equilibrata combinata ad attività fisica costante. Le celebrities lo sanno bene: basando il loro lavoro principalmente sull'immagine, spesso si rivelano promotori e pionieri nell'utilizzo dei Superfoods. I più famosi ad oggi?
Acqua di cocco. E' un'ottima bevanda idratante, ma in Italia ancora non è molto diffusa. Contiene potassio, magnesio, calcio, sodio e fosforo, e in media una confezione da 330 ml contiene 50-80 calorie. A basso contenuto di grassi e colesterolo, rappresenta una buona fonte di vitamina C e vitamine del gruppo B.
L'acqua di cocco è è indicata come un sostituto delle bevande energetiche e artificiali per per bilanciare gli elettroliti persi con la sudorazione durante l'attività fisica. Lo zucchero non è raffinato, e non contiene caffeina, additivi o conservanti. La FAO ha pubblicato una tabella di comparazione fra l'acqua di cocco e le bevande energizzanti (qui potete visualizzarla). Come è evidente, per un quantitativo di carboidrati (zuccheri) inferiore si assumono più sali minerali ma meno sodio.
Tutto ciò però non rappresenta assolutamente una valida sostituzione all'idratante per eccellenza, l'acqua. Priva di calorie, naturale. D'altronde ne siamo composti di circa il 70%!
Mandorle attivate. Lo chef australiano Pete Evans ha dichiarato più volte di consumare giornalmente modeste quantità di mandorle attivate, decantandone le proprietà. L'attivazione è un processo che consiste nell'immergere i semi i in acqua per circa 12-24 ore per poi farli essiccare lentamente. Con questo metodo si avvia il processo di germinazione, che provoca cambiamenti nel seme: si cominciano a demolire alcune proteine, amidi ed olii per produrre forme di energia utili per il giovane germoglio. Ma anche la composizione chimica del seme cambia: in particolare, l'acido fitico si riduce. L'acido fitico (o acido inositol-esafosforico) è la principale forma di deposito di fosforo in molti tessuti vegetali ma non è digeribile per gli umani, inoltre rende inassorbibili alcuni importanti microelementi come zinco e ferro, e in misura minore anche macroelementi come calcio e magnesio.
Numerosi studi riguardo cereali e legumi dimostrano come l'ammollo e/o la germinazione diminuiscano la quantità di acido fitico nel seme, ma ancora non esistono prove scientifiche solide per dimostrare che ciò accada anche in mandorle o altri frutti a guscio.
Ciò che sappiamo per certo è che mandorle e noci - attivate o meno - hanno importanti effetti sulla salute: una manciata al giorno può aiutare a proteggersi contro il colesterolo alto, le malattie cardiache e il diabete, così come aiutare a gestire il peso e l'appetito. Last but not least, 500 gr di mandorle attivate costano quasi 20 dollari. Chi è davvero disposto a farle in casa?
Bacche di Goji. Ultimamente se ne è parlato tanto, forse troppo. Probabilmente il Superfood più famoso del 2013, le bacche di Goji provengono da un arbusto spontaneo, il Lycium barbarum, che appartiene alla famiglia delle Solanaceae (pomodori, melanzane, patate). Originarie del Tibet, le sono state attribuite mille proprietà, fra cui spiccano quelle dimagranti ed antiossidanti. Sono una buona fonte di vitamina C, vitamine E ed A, fitonutrienti protettivi e minerali come calcio, ferro, potassio, magnesio, zinco. Contengono un quantitativo modesto di sodio (circa 20 volte superiore a quello di frutti di bosco ed uva!).
Non danno senso di sazietà, per cui il rischio è quello di esagerare con le quantità (esattamente come succede con mandorle e noci) e di ottenere gli effetti contrari a quelli desiderati. Proprio riguardo a quest'ultimo punto, è assolutamente necessario consultarsi con il proprio medico curante nel caso in cui il consumatore di bacche di Gojisia in terapia per il diabete, per l’ipertensione, o con farmaci anticoagulanti come ad esempio il Warfarin (Coumadin®). Sono inoltre identificate come possibili allergeni in soggetti già predisposti. Però però pero: non contengono nulla che non sia già presente nelle stesse quantità nella normale frutta da tavola, come gli agrumi, le more, i lamponi, i frutti di bosco in genere, l'uva.
Anche per loro, il costo è decisamente sproporzionato. E' decisamente meglio continuare a riempire la propria tavola con la frutta che mangiamo da sempre. Parola di portafoglio salvato!
Bibliografia
- Jean WH et al. (2009): The Chemical Composition and Biological Properties of Coconut (Cocos nucifera L.) Water. Molecules, 14:5144-5164.
- Azeke AA et al. (2011): Effect of germination on the phytase activity, phytate and total phosphorus contents of rice (Oryza sativa), maize (Zea mays), millet (Panicum miliaceum) sorghum (Sorghum bicolour) and wheat (Triticum aestivum). J Food Sci Tech, 48(6):724-729.
- Seeram NP (2008): Berry fruits: compositional elements, biochemical activities, and the impact of their intake on human health, performance, and disease. J Agric Food Chem., 56(3):627-9.
- Lam AY, et al. (2001): Possible interaction between warfarin and Lycium barbarum L. Ann Pharmacother, 35(10):1199-201.
L'oro delle Ande
Oggi vi voglio parlare della quinoa, che ho avuto l'onore di conoscere nella sua terra madre, la Bolivia.
Si è da poco concluso il 2013, quello che la FAO ha nominato come "Anno internazionale della quinoa". Poco a poco questo alimento sta entrando nella cultura culinaria dell'Italia e dell'Europa intera, nonostante in Sudamerica (soprattutto Perù e Bolivia), sia conosciuta - ed utilizzata - da più di 7000 anni.
La quinoa ha un valore nutritivo eccezionale, e possiede la straordinaria capacità di sopravvivere e crescere in ambienti abiotici rispetto a molte altre piante. Proprio per questo motivo la FAO la considera come la coltura più promettente del futuro in grado di sfamare milioni di persone, anche perché non contiene glutine, pertanto si presta all'alimentazione delle persone celiache. Ha rappresentato per millenni l'alimento principale delle popolazioni Inca che vivevano nella zona dell'Altipiano boliviano, a più di 3500 m sopra il livello del mare.Non tutti però sanno esattamente cosa è la quinoa (o quinua). Si tratta di una pianta appartenente alla stessa famiglia degli spinaci e delle barbabietole, le Chenopodiaceae, e che non può essere classificata come un cereale, come ad esempio il grano o il mais. Viene più correttamente definita come pseudo-cereale, anche grazie ad un eccezionale ed insolito equilibrio dal punto di vista nutrizionale di olii, proteine e grassi. Ne esistono molte varietà, differenti soprattutto per morfologia e composizione delle foglie. La più famosa è quella Real, e se ne mangiano i semi essiccati, che possono variare dal bianco, al giallo, al rosso, al marrone.
Considerata come "The Mother Grain" (la Madre di tutti gli alimenti), in seguito alla conquista spagnola gli Europei imposero prevalentemente la coltivazione del grano, della segale e dell'avena. Tuttavia, alcune popolazioni andine dell'Altipiano che vivevano in zone inaccessibili agli Europei, continuarono a coltivarla. Questa separazione e il successivo isolamento fecero in modo che quando la quinoa venne reintrodotta sui suoli sudamericani, si venissero a creare varietà geneticamente differenti, quelle che noi oggi troviamo in tavola.
Ad oggi, il consumo di pseudo-cereali (soprattutto di quinoa ed amaranto), sta diventando sempre più frequente per quelle persone che decidono di cambiare e mantenere il loro stile alimentare più salutare. Nella Quinoa sono presenti alte concentrazioni di amido e una buona porzione di proteine ad alto valore biologico (circa il 13-15% su 100 gr); è presente infatti un pool importante di amminoacidi essenziali rispetto ai cereali normali come istidina, lisina, isoleucina. Degna di particolare attenzione è la presenza consistente degli amminoacidi solforati cistina e metionina, forse in virtù dei suoli vulcanici dove la quinoa veniva originariamente coltivata.
I carboidrati sono presenti circa al 64%, con un basso contenuto di glucosio e fruttosio a vantaggio del ribosio, del galattosio e del maltosio. Per questo motivo la Quinoa è caratterizzata da un indice glicemico (IG) molto basso, ed essendo anche ricca di fibre alimentari utili alla moderazione dell'IG stesso, si presta alle diete per diabetici e a quelle miranti la riduzione della colesterolemia. I lipidi (5-7% su 100 gr) possiedono un ottimo bilancio tra gli acidi grassi essenziali. Per quanto riguarda le vitamine, nella quinoa sono presenti in discrete quantità alfa-carotene, niacina, vitamine C ed E; fra i sali minerali, apporta buone concentrazioni di magnesio, fosforo, rame, zinco, calcio e ferro. Unica nota "negativa" di questo alimento è la presenza di saponina, un detergente naturale che rende il suo sapore amaro. Per questo motivo è caldamente consigliabile lavare la quinoa con abbondante acqua prima di procedere alla cottura, fino a quando la caratteristica schiuma non sarà più presente.
Ora, appresa qualche nozione in più, mi preme sottolineare come la quinoa possa essere presente in una varietà enorme di ricette, sia dolci che salate. Può essere utilizzata nella preparazione di zuppe, polpette ed hamburger, insalate fredde con verdure e legumi, piatti tradizionali al posto della pasta o del riso, dolci. Recentemente su internet, nelle librerie, in televisione, siamo invasi da ricettari e consigli per rendere questo straordinario alimento uno dei punti cardine delle nostre abitudini in cucina. Vi invito a fare delle ricerche, sono infiniti i modi di cucinarla.
Tuttavia, se da un lato l'interesse e l'entusiasmo per questo pseudo-cereale stia crescendo a macchia d'olio tanto da essere considerato quasi una "moda" (soprattutto per i sostenitori del biologico e del gluten-free), il quotidiano inglese The Guardian, nel gennaio 2013, ha denunciato come il prezzo della Quinoa sia triplicato dal 2006 al 2011 come conseguenza della globalizzazione. Il rischio futuro è quello di trovare nei supermercati varietà commerciali e non più quelle locali originarie di Bolivia e Perù.
Non si tratta di un paradosso, considerato quanto proclamato dalla FAO?
Bibliografia
- Vega-Galvez et al. (2010): Nutrition facts and functional potential of quinoa (Chenopodium quinoa willd.), an ancient Andean grain: a review. J Sci Food Agric.
- Abugoch James LE (2009): Quinoa (Chenopodium quinoa Willd.): Composition, Chemistry, Nutritional, and Functional Properties. Adv Food Nutr Res.