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Quello che non sapevo su Chiara Belli Quello che non sapevo su Chiara Belli

La soia fa bene o fa male?

La soia è un legume come i fagioli, i ceci o le lenticchie, e come tutti i legumi è ricca di vitamine del gruppo B, di ferro e di potassio. Fra tutti i legumi è quella che contiene la maggior quantità di proteine, il che la rende un alimento estremamente versatile per coloro (ma non solo) che seguono un’alimentazione vegetariana e vegana. Tra le altre componenti di questo legume va inoltre ricordata la lecitina di soia, sostanza emulsionante spesso utilizzata come addensante, ricca di omega-3, omega-6, colina, inositolo e minerali quali calcio e fosforo.

La soia contiene anche i fitoestrogeni isoflavoni (sostanze naturali contenute nelle piante con azione simili a quelle degli estrogeni, ormoni sessuali femminili), e questa caratteristica è da sempre al centro del dibattito scientifico circa la pericolosità sulla salute.

Da molto tempo in fitoterapia i fitoestrogeni si utilizzano per attenuare i sintomi della sindrome menopausale e dei disturbi della sfera emotiva riducendo ansia, irritabilità, depressione ed instabilità umorale. Moltissimi studi suggeriscono anche che la soia protegge dalle malattie cardiovascolari abbassando la pressione arteriosa ed il colesterolo, migliorando l'elasticità delle arterie e combattendo i radicali liberi.

La principale perplessità del mondo scientifico riguarda
il connubio soia - tumori.

I fitoestrogeni hanno una struttura chimica simile a quella degli estrogeni femminili e per questa ragione sono stati, e sono tuttora, nel mirino di chi si occupa di oncologia e di tumori ormono-sensibili.


I dubbi maggiori sorgono per le donne che hanno ricevuto in passato una diagnosi di tumore al seno, poiché alcuni dati passati suggerivano che i fitoestrogeni potessero stimolare le cellule tumorali rimaste o interferire con le terapie ormonali. Gli studi più recenti sembrano smentire tutto ciò e suggeriscono che un consumo moderato di cibi ricchi di fitoestrogeni addirittura possa ridurre il rischio di recidive. A titolo precauzionale, e in attesa di dati che chiariscano la relazione tra fitoestrogeni e tumore al seno, è opportuno comunque che le donne con una precedente diagnosi di questo tipo di cancro non eccedano con alimenti ricchi di fitoestrogeni e, in particolare, che non facciano uso di integratori a base di queste sostanze.

C’è da dire però che sono state dimostrate anche delle proprietà anti-cancro della soia, soprattutto per il tumore della prostata e proprio per quello al seno. Molti studi hanno evidenziato infatti che la capacità della soia di contrastare la proliferazione incontrollata delle cellule tumorali dipende dalla sua capacità di ridurre i livelli degli ormoni sessuali.

Paradossalmente quindi, la soia sembra addirittura protettiva nell’ambito della PREVENZIONE oncologica.

Il consumo di soia NON aumenta il rischio di avere una diagnosi tumorale. Per chi però ha già ricevuto una diagnosi, l’approccio della cautela si rivela essere ancora il più sensato.

 

Al di là del discorso oncologico, voglio ricordarti alcuni benefici sicuri che la soia apporta nella nostra dieta:

1. Fonte di proteine complete: la soia è una delle poche fonti vegetali di proteine complete, poiché contiene tutti gli amminoacidi essenziali di cui il corpo ha bisogno per funzionare correttamente.

2. Salute cardiovascolare: l'inclusione di soia nella dieta può contribuire a ridurre i livelli di colesterolo LDL (colesterolo "cattivo"), che è un fattore di rischio per malattie cardiovascolari.

3. Ricca di fibre: è un’ottima fonte di fibre alimentari, che aiutano a migliorare la salute del sistema digestivo, promuovendo una buona regolarità intestinale.

4. Benefici per la salute ossea: la soia è una fonte di calcio e altri minerali importanti come il fosforo e il magnesio, che sono essenziali per la salute delle ossa.

5. Gestione del peso: gli alimenti a base di soia possono essere parte di una dieta equilibrata e aiutare a fornire un senso maggiore di sazietà, contribuendo così alla gestione del peso.

Un consumo equilibrato di soia quindi, da ruotare nelle frequenze settimanali con quello di altri legumi,
è la scelta migliore che possiamo fare.

Se siamo abituati a consumare latte di soia la mattina, pranzare con il tofu e cenare con un’insalata a base di germogli di soia probabilmente dovremmo rivedere le nostre abitudini alimentari. Ma questo è un concetto che si estende a tutti i gruppi nutrizionali e a tutti i tipi di dieta seguita.

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Tutti i volti dell'indice e del carico glicemico

Oggi parliamo di un argomento tanto importante quanto molto spesso trascurato, ossia la differenza fra l'Indice Glicemico (IG) e il Carico Glicemico (CG) degli alimenti. Questi due concetti sono strumenti fondamentali per comprendere come i carboidrati influenzano i nostri livelli di zucchero nel sangue e la nostra salute in generale.

Cos'è l'Indice Glicemico?

L'IG è una misura che indica quanto rapidamente un alimento contenente carboidrati aumenta i livelli di zucchero nel sangue (ti ricordo che gli zuccheri sono la forma più semplice e pura dei carboidrati, che per loro natura esistono anche in forme più complesse). Gli alimenti con un IG alto causano un rapido aumento di questi zuccheri, mentre quelli con un IG basso lo fanno in modo più graduale.

L’IG si misura teoricamente valutando l’incremento della glicemia quando si assumono 50 g di glucosio. Questa misura viene espressa in termini percentuali rispetto al glucosio puro (o pane bianco), che viene preso come punto di riferimento stabilendone un valore pari a 100. Esistono pertanto delle tabelle dell’IG che classificano gli alimenti in alto IG, medio IG e basso IG.

Conoscere l'IG degli alimenti può aiutarti a fare scelte più consapevoli e a gestire meglio i tuoi livelli di zucchero nel sangue. Ad esempio, se hai bisogno di un rapido apporto di energia (come dopo un allenamento o in seguito a una crisi ipoglicemica se soffri di diabete di tipo I), potresti optare per alimenti con un IG più alto.

L’IG può essere influenzato anche dalla composizione nutrizionale dell’alimento, ad esempio ad opera delle fibre o di grassi presenti contestualmente nel pasto e che tendono a rallentare l’assorbimento intestinale dei carboidrati.

Consumare quindi alimenti che hanno un IG alto (come la pasta non integrale) potrebbe essere non così impattante sulla nostra glicemia se ad esempio li consumiamo con della verdura ad alta quantità di fibra, magari anche con dell’olio extravergine di oliva ricco di grassi polinsaturi.

Esiste però anche il Carico Glicemico. Di cosa si tratta?

Il CG va un passo oltre l'IG. Non solo tiene conto della velocità con cui un alimento aumenta i livelli di zucchero nel sangue, ma lo fa anche considerando la quantità di carboidrati contenuti nell'alimento stesso. Il CG valuta quindi l’effetto sulla glicemia di un alimento basandosi sulle quantità effettivamente consumate.

Per studiare il carico glicemico di un pasto si usa una formula matematica (Indice glicemico /100) x g di carboidrati a porzione). Un alimento con un basso IG potrebbe avere un alto CG se contiene una grande quantità di carboidrati, ma è anche possibile che un alimento con un alto IG possa avere un CG basso.

In sintesi: mentre l’Indice Glicemico è la misura della qualità dei carboidrati, il Carico Glicemico è la misura della loro quantità e tiene conto, dunque, sia dell’IG che del contenuto di zuccheri per porzione consumata.

Per molto tempo, considerando solo l’IG, molti vegetali come le carote o la zucca sono state erroneamente eliminate dalla dieta di molte persone perché hanno in effetti un indice glicemico alto. Facciamo proprio l’esempio della zucca, prezioso ortaggio di questo periodo autunnale: una porzione da 200 g contiene solo 7 g di carboidrati. L’IG della zucca è 85, ma il suo CG per porzione è 5,95, quindi bassissimo! 

Va anche detto che la zucca è un alimento ricchissimo di fibre ed acqua, che di conseguenza mitigano anche il suo IG alto.

Quindi: via libera a zucca, carote e altri alimenti simili come papaia, melone, barbabietola, carote, anguria, rapa, sedano rapa!

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Dieta chetogenica: tra falsi miti e realtà

Negli ultimi anni la dieta chetogenica ha guadagnato popolarità per una serie importante di motivi. Tuttavia c'è ancora molta confusione e disinformazione intorno a questo approccio nutrizionale, e con la newsletter di questo venerdì ne vorrei esaminare in modo assolutamente scientifico i pro e i contro, fornendo informazioni basate sulle ultime evidenze.

La dieta chetogenica è una strategia nutrizionale basata sulla riduzione dei carboidrati alimentari, che "obbliga" l'organismo a produrre autonomamente il glucosio necessario alla sopravvivenza e ad aumentare il consumo energetico dei grassi contenuti nel tessuto adiposo. Si avvia quindi un processo chiamato chetosi, perché porta alla formazione di molecole chiamate corpi chetonici, utilizzabili anche dal cervello. In genere la chetosi si raggiunge dopo un paio di giorni con una quantità giornaliera di carboidrati di circa 30 grammi, che può variare su base individuale.

Inizialmente sviluppata per trattare l'epilessia farmaco-resistente, nel corso degli anni è stato visto che un suo impiego nell’ambito della perdita del peso portava ad ottimi risultati.

E’ assolutamente controindicata però in alcune situazioni:

  • gravidanza ed allattamento

  • diabete di tipo 1

  • insufficienza renale o epatica

  • recente infarto del miocardio o importanti problemi cardiovascolari

  • porfiria

  • disturbi del comportamento alimentare

  • alcolismo

Va gestita in maniera corretta e protratta generalmente per periodi non troppo lunghi (di solito non oltre i 30 giorni, ai quali deve seguire una graduale reintroduzione dei carboidrati), e trattandosi di un protocollo dietetico è prescrivibile esclusivamente da professionisti sanitari. E’ fondamentale farsi seguire da una figura competente durante tutta la sua durata, per saper come gestire gli eventuali (ma passeggeri) piccoli effetti collaterali dei primi giorni.

Il meccanismo di funzionamento della dieta chetogenica, in associazione ad un giusto livello di proteine e un elevato contenuto percentuale di grassi, migliora la lipolisi e l'ossidazione lipidica cellulare, quindi il consumo totale di grassi ottimizzando
il dimagrimento.


Uno dei miti più diffusi riguarda la sicurezza della dieta chetogenica. È importante sottolineare che, quando seguita correttamente e sotto la supervisione di un professionista della salute, è sicura ed efficace. Questo perché:

1. Controlla la glicemia. E’ stata dimostrata la sua efficacia nel migliorare la sensibilità all'insulina e nel contribuire al controllo dei livelli di zucchero nel sangue. Questo può essere particolarmente benefico per le persone con diabete di tipo 2.

2. Aiuta a gestire il peso. Può aiutare a perdere peso in modo incisivo, soprattutto nelle prime fasi. Questo è dovuto al fatto che la dieta è altamente saziante grazie alla presenza di un’alta percentuale di grassi buoni e a proteine nobili, che fanno di fatto passare l’appetito e sopratutto riducono il craving di dolci.

3. Riduce i trigliceridi. Questo è importante per la salute cardiovascolare, poiché livelli elevati di trigliceridi possono essere un fattore di rischio per malattie cardiache.

4. Aumenta l’energia e la concentrazione. Molte persone segnalano un aumento dell'energia e una maggiore chiarezza mentale quando seguono una dieta chetogenica. Questo può essere attribuito alla stabilità dei livelli di zucchero nel sangue e all'uso di chetoni come fonte di energia per il cervello.

5. Riduce l’infiammazione. Alcuni studi suggeriscono che la dieta chetogenica possa contribuire a ridurre l'infiammazione nel corpo. Questo può essere particolarmente benefico per persone con condizioni infiammatorie croniche (portate anche “"semplicemente” dal sovrappeso e dall’obesità).

La dieta chetogenica però NON è uno stile di vita. E’ un protocollo alimentare e come tale deve essere considerato. Successivamente, l’alimentazione deve tornare varia, equilibrata e soprattutto sostenibile sul lungo termine.

L’unico “punto debole” della dieta chetogenica è effettivamente la sua scarsa adattabilità a tutti i contesti sociali, familiari ed alimentari. Prevedendo la totale esclusione di amidacei (pane, pasta, patate, prodotti da forno), frutta, legumi ed alcuni tipi di verdura, il suo protrarsi sul lungo termine porta a problemi di gestione della vita quotidiana. E’ importante cambiare prospettiva: se si considera la dieta chetogenica come un protocollo alimentare da eseguire per un periodo limitato di tempo per poi tornare ad un’alimentazione sostenibile che risponda alle esigenze della singola persona e della sua famiglia/cerchia di amici, va benissimo. Non si sostituisce assolutamente ai percorsi di educazione alimentare che sono fondamentali per il mantenimento del peso a lungo termine e per l’abbassamento del rischio di tante patologie.

Se si intraprende per “punirsi” da eccessi alimentari considerandola come una compensazione dei periodi di scarso controllo alimentare non va affatto bene. Per questo è fondamentale informarsi, ponderare con giudizio se è il caso di intraprenderla e soprattutto farlo insieme a un nutrizionista, che saprà cucire come un vestito su misura per la persona anche un protocollo del genere.

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Si possono mangiare i carboidrati la sera?

In dieci anni di professione - non esagero - credo che la domanda più gettonata da parte dei miei pazienti sia stata: “Dottoressa, ma i carboidrati si possono mangiare la sera?”

Prima di rispondere, lascia che ti spieghi qualcosa…

I carboidrati sono uno dei tre macronutrienti essenziali presenti nella nostra alimentazione, insieme alle proteine e ai grassi. Sono una fonte primaria di energia per il nostro corpo e svolgono un ruolo cruciale nel sostentamento delle funzioni vitali. Quando li consumiamo, il nostro corpo li scompone in zuccheri, che vengono quindi assorbiti nel flusso sanguigno. Questi zuccheri vengono utilizzati come fonte immediata di energia o immagazzinati nei muscoli e nel fegato per un utilizzo futuro.

Esistono due categorie principali di carboidrati:

  1. Carboidrati complessi. Si trovano in alimenti come cereali integrali, legumi, verdure e frutta, e contengono lunghe catene di zuccheri che sono digerite più lentamente. Questo assicura un rilascio graduale di energia, mantenendo stabile il livello di zucchero nel sangue.

  2. Carboidrati semplici. Noti anche come zuccheri semplici, si trovano in alimenti come prodotti da forno, dolciumi, bevande gasate e zuccherate. Sono rapidamente digeriti e possono portare a picchi di zucchero nel sangue, seguiti da cali improvvisi di energia.

    Le esigenze di carboidrati possono variare da persona a persona, in base a fattori come l'età, il livello di attività fisica e il metabolismo basale.

La verità è che NON c'è una "taglia unica" quando si tratta di tempistica e quantità di carboidrati da consumare.


Un individuo molto attivo come un atleta o una persona che pratica regolarmente attività fisica intensa, potrebbe avere un fabbisogno di carboidrati più elevato per sostenere le sue prestazioni fisiche. Allo stesso modo, lo stile di vita gioca un ruolo cruciale nella decisione di quando consumarli. Se, per esempio, si cena tardi o si svolge una professione serale (basti pensare ai medici del pronto soccorso, o ai trasportatori, o ai portieri d’albergo), potrebbe essere appropriato includere carboidrati nell'ultimo pasto della giornata.

Se il tuo stile di vita o le tue preferenze alimentari ti portano a desiderare o ad aver bisogno di una cena che li includa, non c'è motivo di preoccuparsi che possano portare ad un eccesso ponderale.


E’ doveroso specificare inoltre che, contrariamente a una credenza comune, consumare carboidrati la sera può essere addirittura vantaggioso per vari motivi:

  1. Rigenerazione muscolare. Durante la notte il nostro corpo continua a svolgere funzioni vitali, compresa la rigenerazione dei muscoli. I carboidrati forniscono il carburante necessario per questo processo.

  2. Supporto al sonno. Riso, pasta, patate favoriscono la produzione di serotonina, un neurotrasmettitore che aiuta a regolare l'umore e il sonno. Questo può contribuire a un riposo qualitativamente migliore.

  3. Regolazione dell'appetito. Consumare carboidrati complessi la sera può aiutare a sentirsi sazi e a prevenire la fame durante la notte, promuovendo una migliore gestione del peso.

  4. Miglior umore e benessere mentale. Gli zuccheri favoriscono la produzione di dopamina, un altro neurotrasmettitore collegato al benessere e all'umore positivo.

Quindi si possono mangiare i carboidrati la sera?

Assolutamente sì!
Se vuoi chiedermi quanti se ne possono mangiare, è necessaria una valutazione personalizzata da parte di un professionista della nutrizione (che invito sempre a contattare se si ha la percezione di non sapere in che direzione andare).

Spero di aver chiarito una volta per tutte che i carboidrati non sono nemici da guardare con diffidenza o di cui avere paura. Il loro corretto uso può paradossalmente fare la differenza in percorsi di dimagrimento o di riabilitazione da patologie o condizioni di vario genere.

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Tutta la verità sul digiuno intermittente

“Il numero di libri di diete che incoraggiano a incorporare il digiuno nelle nostre vite è maggiore di vari ordini di grandezza al numero di trial che esaminano se il digiuno dovrebbe essere incoraggiato in generale”.

Ian Templeman, 2020

Il digiuno si pratica da millenni, basti pensare a chi lo fa per motivi religiosi e non dietetico/estetici come nel caso del Ramadan. Solo negli ultimi anni però si è iniziato a parlare tanto di digiuno intermittente (DI), ed andando ad analizzare le motivazioni, credo che si sia tutto innescato in contro-risposta ad una società obesogena ma estremamente contraddittoria, dove il junk food e la pubblicità ci spingevano (e spingono) a mangiare in maniera poco salutare ma i canoni estetici sono sempre più severi ed inclementi.

Premessa doverosa: con il termine digiuno intermittente si indicano diverse tipologie di interventi nutrizionali, molto diversi fra loro, dove la finestra di digiuno è inferiore alle 48 ore consecutive. Esiste il digiuno a giorni alterni (alternate day fasting, ADF) quello per due giorni a settimana, consecutivi o meno, (anche noto come la dieta 5:2) e l’alimentazione ristretta nel tempo con l’assunzione dell’intero apporto calorico quotidiano in una finestra ristretta della giornata (TRE, Time Restricted Eating, di cui fa parte il famosissimo e diffusissimo 16:8).

Dire “digiuno intermittente” non significa nulla e confonde le persone, che pensano che uno valga l’altro.

Detto questo, le ultime ricerche sistematiche della letteratura scientifica riportano tutte lo stesso risultato: i dati non sono sufficienti per dimostrare una reale efficacia del digiuno intermittente sulla perdita di peso, sul miglioramento dei parametri cardiometabolici e sulla resistenza insulinica. I risultati sui modelli animali erano molto più promettenti, quando si è iniziato a fare esperimenti sull’uomo sono iniziati i problemi. Questo perché gli innumerevoli studi eseguiti (sugli innumerevoli tipi di DI) differiscono per la mancanza di procedure standardizzate. Alcuni dimostrano, anche in soggetti fortemente obesi, un vantaggio nella perdita di peso ma non nel miglioramento di glicemia e colesterolo, altri esattamente l’opposto.

E’ assolutamente sconsigliato un DI “fai da te”, perché se la mancanza di energia si protrae, il corpo risponde e si adatta: attiva meccanismi di difesa che rendono le cellule più resistenti agli stress metabolici e innesca l’autofagia, ovvero una morte cellulare controllata, un “suicidio altruistico”, in cui le componenti delle cellule vecchie diventano materiali disponibili per nuove strutture.

In questo modo però il metabolismo basale non riesce più a lavorare in maniera ottimale, e se è già presente un eccesso ponderale il rischio è quello di alimentare una catena senza fine dove non si perde peso e i parametri cardiometabolici non migliorano.

C’è assolutamente la necessità di esperimenti condotti per periodi più lunghi (almeno un anno), secondo protocolli di intervento ben delineati e condivisi, e su determinate categorie di pazienti (normopeso o obesi, prediabetici o sani, uomini o donne - perché sembra esserci un’influenza del sesso nella risposta al digiuno) in modo da poter trarre dati certi ed inconfutabili. 

Un bellissimo lavoro pubblicato Nature Endocrinology solo un anno fa dichiara: «Il grado di perdita di peso è pari a quello ottenuto con gli approcci di restrizione calorica tradizionali. L’impatto sui parametri di rischio cardiovascolare e metabolico è ancora incerto. Mentre alcuni studi hanno dimostrato miglioramenti nella pressione sanguigna, LDL, colesterolo, trigliceridi e resistenza insulinica, altri hanno mostrato che questi effetti positivi non ci sono».

Quindi DI sì o no?

Se senti che non è nelle tue corde, non c’è assolutamente motivo per il quale ti debba costringere a farlo. Se senti invece che è il modello alimentare che fa per te, va ugualmente benissimo!

E’ necessario comprendere che non è il digiuno intermittente in se’ a portare vantaggi, ma è la restrizione calorica, in qualsiasi sua forma, che porta a dei reali benefici per il nostro organismo.

Concludendo:

  • Non funziona di più rispetto a una dieta normale per perdere peso

  • Non insegna nulla dal punto di vista nutrizionale e della gestione dell’alimentazione

  • Non corregge glicemia, colesterolo o altri parametri metabolici in modo migliore rispetto ad altri protocolli di restrizione calorica.

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Esiste il metabolismo lento?

Spesso tendiamo erroneamente a pensare che la parola metabolismo sia connessa solo a tematiche alimentari, e cioè a tutti quei processi fisiologici responsabili della perdita o dell’acquisizione di peso. In realtà non è così!


La definizione di metabolismo è molto più complessa, ed abbraccia tematiche fisiologiche varie. La sua definizione enciclopedica è “l’insieme delle trasformazioni chimiche che avvengono nella cellula per produrre energia e nuova materia”, che come puoi facilmente intuire può significare tutto o nulla.

Si tratta di un complesso di reazioni biochimiche di sintesi e di degradazione, che si svolgono in ogni organismo vivente e che ne determinano l'accrescimento, il rinnovamento, il mantenimento. Dire quindi che si ha un metabolismo lento non equivarrebbe solo a dire che perdiamo peso lentamente, ma anche che abbiamo - per tutta la vita e tutti insieme nello stesso momento -  un lento sviluppo dell’abbronzatura, oppure una lenta riparazione di una ferita, una lenta produzione di lacrime. A volte questi esempi che ho citato possono certamente verificarsi, ma non sono riferiti alla lentezza espressa in termini temporali: spesso sono riferiti alla scarsa efficienza di funzionalità, che è un concetto tutto diverso.

Il processo di perdere peso è solo una piccolissima parte dei miliardi di processi metabolici che avvengono contemporaneamente tutti i giorni della nostra vita.

Il perdere peso lentamente non è sinonimo di metabolismo lento.

La confusione nasce dal fatto che tendiamo a considerare come sinonimi le parole metabolismo e metabolismo basale (sottogruppo del metabolismo), che è invece il minimo dispendio energetico del nostro corpo necessario per rimanere in vita e per assicurare le funzioni di base. Questo sì che può aumentare o diminuire (mai bloccarsi!), e dipende da numerosi fattori: alimentazione, attività fisica, età, clima, temperatura corporea, gravidanza/allattamento, menopausa, composizione corporea, patologie ormonali e di altro genere, genetica, sonno e stile di vita. Se gestiti male, tutti questi fattori culminano con il sovrappeso, e di conseguenza con un rallentamento del metabolismo basale.


Quindi mentre non ha senso parlare di metabolismo lento, potrebbe aver senso parlare di metabolismo basale diminuito e di perdita di peso lenta o bloccata: quest’ultima come abbiamo detto può essere la conseguenza (e non la causa) di molti fattori, in primis il sovrappeso.


Ricorda quindi che, se fai fatica a perdere peso, non dipende da un metabolismo lento. E’ il tuo metabolismo basale che non è ottimale perché c’è un eccesso ponderale!

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Vitamina D, quello che non ci avevano detto

Da tempo ormai la vitamina D è stata dichiarata un ormone: una molecola importante non solo per la fissazione del calcio e per la salute delle nostre ossa, ma anche per una comunicazione importante che attua all'interno degli adipociti, le cellule del nostro corpo in cui viene stoccato il grasso. La vitamina D sarebbe in grado di "comunicare" con il nostro DNA e mettere in moto tutta una serie di processi nutrigenomici positivi. Non a caso è stata chiamata "la vitamina anti obesità". La popolazione italiana è in forte carenza di vitamina D, anche la più giovane, che non misura mai i propri livelli nel sangue. Non trattandosi di un esame che si effettua regolarmente prima dell'arrivo della menopausa, se ne sottovaluta l'importanza. Invito almeno una volta l'anno a misurare il proprio livello di vitamina D, potreste rimanere stupiti dei risultati.

Il 90% della produzione di vitamina D è endogena, grazie all'azione dei raggi del sole sulla cute. E' dunque importantissimo esporsi regolarmente alla luce del sole, ma altrettanto importante proteggersi dai raggi UV mediante delle creme solari. La loro applicazione infatti non ostacola comunque l'assorbimento della luce e di conseguenza la produzione di vitamina D.

 Il restante 10% invece si ottiene dagli alimenti. Lo sapete quali sono i più ricchi?

  • Alcuni pesci azzurri, come l'aringa, le alici, il salmone e i rispettivi olii
  • fegato
  • uova, burro, e i latticini in generale.

Cerchiamo di diventare più consapevoli, anche in giovane età, del nostro stato di salute. L'equilibrio e la varietà a tavola portano molti più benefici di quanto si possa credere, che non si limitano solamente al dimagrimento.

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Dolci di Natale: quali scegliere?

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Già da un mese e mezzo a questa parte i supermercati si sono riempiti di dolci natalizi, e la classica domanda che ci poniamo dall'8 dicembre in poi (ma anche prima) è: PANDORO o PANETTONE? Io ci aggiungo: o TORRONE? Vi elenco innanzitutto i principali ingredienti di questi dolci natalizi così come sono riportati sulle confezioni, tenendo in considerazione le ricette classiche.

Pandoro (originario di Verona): Farina di frumento, uova fresche, burro, zucchero, lievito naturale, emulsionante: mono e digliceridi degli acidi grassi di origine vegetale, sciroppo di glucosio - fruttosio, latte scremato in polvere, sale, burro di cacao, aromi.

Panettone (originario di Milano): Farina di grano tenero tipo '0', uova fresche, uvetta sultanina (16%), scorze d’arancia candite (14,5%) (scorze d’arancia, sciroppo di glucosio-fruttosio, zucchero), zucchero, burro, lievito naturale, emulsionante: mono-digliceridi degli acidi grassi, latte scremato in polvere, sale, aromi.

Torrone alle mandorle (origine diffusa): Mandorle 50%, sciroppo di glucosio-fruttosio, zucchero, miele 4,5%, ostie (fecola di patate, acqua, olio vegetale), albume d’uovo, aromi.

Come vi mostro in questa piccola tabellina sottostante, il confronto fra pandoro e panettone è pressoché uguale: a parità di calorie su 100 grammi, è vero che il pandoro contiene più grassi (perché nell'impasto è presente più burro), ma nel panettone sono presenti più zuccheri. Sappiamo che il troppo di tutto non fa bene, che si tratti di grassi saturi o di zuccheri semplici. Il discorso si complica ancora di più per il torrone: nella ricetta di quello classico alle mandorle, troviamo quasi 500 kcal per 100 grammi, quasi il doppio degli zuccheri semplici di pandoro e panettone e un quantitativo maggiore di grassi.

I valori si riferiscono a 100 gr di prodotto

Durante le festività non c'è una regola precisa a cui attenersi, è giusto che le tradizioni vengano rispettate così come la convivialità goduta, insieme alla gioia di stare insieme e alla condivisione del cibo. Scegliete dunque secondo il vostro gusto, cercando di limitarne le quantità e adottando la saggia decisione di fare un po' più di movimento durante il Natale. L'inverno regala degli scenari meravigliosi per approfittare di una passeggiata, per andare in giro per mercatini natalizi, per riscoprire le bellezze nascoste della propria città.

Approfittiamo del maggior tempo libero che abbiamo non solo per mangiare e stare in casa, ma anche per muoverci in modo intelligente.. non cura l'anima anche questo?

A prestissimo con un post dedicato a piccoli consigli su come sopravvivere ai giorni clou del Natale e del Capodanno!

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5 alimenti da bandire dalla propria tavola

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L’industria alimentare mette a nostra disposizione moltissimi cibi, più o meno preparati, che la maggior parte delle volte sono venduti come “salutari” per ovvie ragioni di marketing.
Ma siamo certi che siano davvero salutari? Come possiamo imparare a distinguere quello che ci fa bene da quello che ci fa male? 

Le regole della dietetica sono poche e molto semplici. Mantenere un buono stato di salute, con un peso normale, con una forma fisica che ci permette di sentirci bene con noi stessi non ha niente a che fare con regimi alimentari restrittivi o che propongono menù noiosi.
Vediamo insieme una lista di cinque prodotti che dobbiamo imparare a riconoscere, evitare o scegliere. La strada verso il benessere è così semplice.. bisogna solamente informarsi.

1. CIBI A BASSO CONTENUTO DI GRASSI

In natura, le molecole che danno maggiormente sapore sono gli zuccheri ed i grassi. Ecco perché si dice che le cose più buone sono quelle che fanno ingrassare! Se negli alimenti togliamo i grassi per renderli meno calorici, inevitabilmente il gusto ne risentirà. La conseguenza sarà che la gente non comprerà più quel determinato prodotto. Quindi, per renderlo più appetibile, le industrie aggiungono grandi quantità di zucchero per compensare il sapore. Mi viene subito a mente un esempio: gli yogurt. Ne troviamo tanti con la scritta 0,1% di grassi.. ma quanti zuccheri hanno? Andate a controllare. Siete ancora sicuri che yogurt sia sempre sinonimo di salute? Impariamo a scegliere!

2. SUCCHI DI FRUTTA

I succhi di frutta che troviamo al supermercato sono tutt’altro che salutari. Innanzitutto, quando c’è scritto “senza zucchero”, non è vero. Significa che quel succo non è stato addizionato con degli zuccheri, ma all’interno ne troviamo eccome, sono quelli contenuti naturalmente nella frutta! Se di frutta si può parlare. Perché la maggior parte delle volte di frutta ne è presente ben poca: i succhi vengono solo aromatizzati chimicamente con il sapore della frutta, contengono tantissimi zuccheri, conservanti e additivi artificiali. Per non parlare della fibra, totalmente assente. Morale: preferire frullati, succhi e centrifughe fatte in casa e con frutta di stagione (che quindi è più dolce e non ha bisogno di essere zuccherata).

3. PRODOTTI INTEGRALI (?)

Mi riferisco a pane, biscotti, prodotti da forno. Ad esempio, quando troviamo scritto “pane integrale”, andiamo sempre a leggere l’etichetta e le percentuali reali di farina. Scoprirete, purtroppo, che la maggior parte delle volte la percentuale di farina integrale è bassissima, per lasciare spazio alla farina raffinata di tipo 00 che, guarda caso, rende il prodotto più morbido, soffice ed appetibile. La farina integrale deve essere situata sempre al primo posto della lista degli ingredienti. In più, molti prodotti industriali contengono della crusca addizionata a un prodotto raffinato. Per loro quello sarebbe un prodotto integrale.. per noi no. Che senso ha raffinare un prodotto, per poi aggiungerci nuovamente della crusca? 

4. PRODOTTI VEGANI E BIOLOGICI

“Vegan” o “bio”, ovviamente non sono sempre sinonimo di salute. Le patatine fritte sono assolutamente vegan. E magari le patate utilizzate provengono anche da una piantagione bio. Attenzione quindi: la parola “bio" rappresenta prodotti preparati con ingredienti provenienti da piantagioni in cui non dovrebbero essere utilizzati fertilizzanti chimici o prodotti che forzano la produzione/resa. Solo questo! A noi interessa invece cosa è presente nel prodotto e le sue caratteristiche nutrizionali.

5. PRODOTTI SENZA GLUTINE

Altra moda (nata tra l’altro negli Stati Uniti): i prodotti senza glutine fanno dimagrire. Niente di più sbagliato! Il glutine è solo una matrice elastica che si forma grazie all’unione meccanica di farine di determinati cereali (frumento, farro, orzo) e l’acqua. Chi è intollerante a questa matrice, ovviamente non può mangiare cibi che la contengono. Chi non è intollerante al glutine non ha nessun motivo di non mangiare prodotti che ne sono privi. Anche perché, purtroppo, i prodotti per celiaci sono fra i più insani sul mercato. 

Questi sono solo cinque esempi di prodotti da saper scegliere, ma anche quelli che colpiscono maggiormente l'opinione pubblica. Impariamo ad essere critici, anche sbagliando a volte.. ma credendo fermamente che una vita migliore parte dalla semplicità, come madre natura insegna.

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Il sale rosa dell'Himalaya

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In passato le mie conoscenze sul sale da cucina si limitavano al comune cloruro di sodio (iodato o non), nonostante il sale non sia tutto uguale. Ne esistono di molti tipi, di diversa provenienza, e con colori diversi tra loro. Studiando e ricercando, ho conosciuto il sale rosa dell’Himalaya. 

Andiamo però con ordine. Il cloruro di sodio (NaCl), è il sale di sodio dell'acido cloridrico. E' il classico sale da cucina, molto abbondante in natura. La maggior parte è disciolta nel mare, e arriva sulle nostre tavole grazie a processi di evaporazione di ampi specchi d’acqua situati in stabilimenti detti saline. In parte si trova anche come minerale allo stato solido in giacimenti di terraferma, le salgemme. I cristalli di sale così ottenuti sono generalmente sottoposti a raffinazione, che prevedono passaggi per rimuovere residui di minerali (zolfo, magnesio, calcio, potassio, ferro) e polveri, per ottenere una percentuale quanto più pura di cloruro di sodio (99,5%). La critica più grande che viene mossa riguarda i mari, sempre più inquinati, che fornirebbero sale molto impuro e costretto quindi a processi di raffinazione  aggressivi.

Come si sa che il sale è fondamentale per la vita sulla terra (basti solo pensare alla trasmissione dei segnali sensoriali e motori lungo il sistema nervoso), si sa anche che è dannoso soprattutto per le persone che soffrono di pressione alta, di insufficienza renale, di cirrosi. In generale l'uso di sale va sempre limitato nella propria dieta, anche dalle persone sane, perché nel tempo predispone all'ipertensione e alla ritenzione idrica. Favorisce inoltre l'escrezione renale di calcio, di cui la dieta è spesso povera. Stimola ovviamente la sete, aumentando il rischio di assunzione di bevande molto caloriche (zuccherate ed alcoliche).

Per quanto riguarda il sale rosa dell'Himalaya,si tratta di un sale di roccia, ottenuto per estrazione nelle miniere di Khewra, in Pakistan, la seconda più grande miniera di sale del mondo (dopo quella boliviana di Uyuni). Queste miniere si sono formate milioni di anni fa a seguito dell’evaporazione di ampi specchi di mare contenuti nelle catene montuose himalayane. Dappertutto si legge che è considerato uno dei sali più pregiati al mondo, perchè oltre al cloruro di sodio conterrebbe molti più oligoelementi e sali minerali. Ma quali? E quanti? Non c’è molta chiarezza tra le fonti che ne parlano, senza contare che comunque più del 95% è composto da cloruro di sodio.

Gli sono state attribuite molte proprietà benefiche, le più curiose sono la regolazione della pressione sanguigna, la depurazione dell’intestino dalle tossine, la cura di malattie da raffreddamento, la cura di malattie legate all’ansia e ai disturbi della concentrazione. La tradizione vuole che venga raccolto a mano, selezionato, lavato in soluzione satura per togliere polvere e residui, eventualmente macinato e impacchettato. Non dovrebbe avere nessuna aggiunta di altri componenti chimici. Il suo colore generalmente è rosa pallido, per via dell’alto contenuto di ferro, che però è scarsamente biodisponibile e quindi non del tutto assimilabile dall’organismo. La verità è che assunto in dosi eccessive fa male tanto quanto il comune sale da cucina, e la presenza di eventuali sali minerali in più è minima. Di nuovo, nulla che non si possa prendere da altri alimenti, anche da altri tipi di sale meno raffinati prodotti però in Italia. In più, le miniere di Khewra sono un’attrazione turistica con circa 250.000 visitatori all’anno, e il sale viene ormai estratto con metodi industriali. Il suo costo è a mio avviso ingiustificato e sproporzionato.

L’unico fattore che lo distingue? Il sapore. Ha un gusto più delicato del normale sale da cucina, ed effettivamente esalta con gentilezza il sapore delle pietanze.

Attendo pareri!

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