nutrizionista porta venezia

Si possono mangiare i carboidrati la sera?

In dieci anni di professione - non esagero - credo che la domanda più gettonata da parte dei miei pazienti sia stata: “Dottoressa, ma i carboidrati si possono mangiare la sera?”

Prima di rispondere, lascia che ti spieghi qualcosa…

I carboidrati sono uno dei tre macronutrienti essenziali presenti nella nostra alimentazione, insieme alle proteine e ai grassi. Sono una fonte primaria di energia per il nostro corpo e svolgono un ruolo cruciale nel sostentamento delle funzioni vitali. Quando li consumiamo, il nostro corpo li scompone in zuccheri, che vengono quindi assorbiti nel flusso sanguigno. Questi zuccheri vengono utilizzati come fonte immediata di energia o immagazzinati nei muscoli e nel fegato per un utilizzo futuro.

Esistono due categorie principali di carboidrati:

  1. Carboidrati complessi. Si trovano in alimenti come cereali integrali, legumi, verdure e frutta, e contengono lunghe catene di zuccheri che sono digerite più lentamente. Questo assicura un rilascio graduale di energia, mantenendo stabile il livello di zucchero nel sangue.

  2. Carboidrati semplici. Noti anche come zuccheri semplici, si trovano in alimenti come prodotti da forno, dolciumi, bevande gasate e zuccherate. Sono rapidamente digeriti e possono portare a picchi di zucchero nel sangue, seguiti da cali improvvisi di energia.

    Le esigenze di carboidrati possono variare da persona a persona, in base a fattori come l'età, il livello di attività fisica e il metabolismo basale.

La verità è che NON c'è una "taglia unica" quando si tratta di tempistica e quantità di carboidrati da consumare.


Un individuo molto attivo come un atleta o una persona che pratica regolarmente attività fisica intensa, potrebbe avere un fabbisogno di carboidrati più elevato per sostenere le sue prestazioni fisiche. Allo stesso modo, lo stile di vita gioca un ruolo cruciale nella decisione di quando consumarli. Se, per esempio, si cena tardi o si svolge una professione serale (basti pensare ai medici del pronto soccorso, o ai trasportatori, o ai portieri d’albergo), potrebbe essere appropriato includere carboidrati nell'ultimo pasto della giornata.

Se il tuo stile di vita o le tue preferenze alimentari ti portano a desiderare o ad aver bisogno di una cena che li includa, non c'è motivo di preoccuparsi che possano portare ad un eccesso ponderale.


E’ doveroso specificare inoltre che, contrariamente a una credenza comune, consumare carboidrati la sera può essere addirittura vantaggioso per vari motivi:

  1. Rigenerazione muscolare. Durante la notte il nostro corpo continua a svolgere funzioni vitali, compresa la rigenerazione dei muscoli. I carboidrati forniscono il carburante necessario per questo processo.

  2. Supporto al sonno. Riso, pasta, patate favoriscono la produzione di serotonina, un neurotrasmettitore che aiuta a regolare l'umore e il sonno. Questo può contribuire a un riposo qualitativamente migliore.

  3. Regolazione dell'appetito. Consumare carboidrati complessi la sera può aiutare a sentirsi sazi e a prevenire la fame durante la notte, promuovendo una migliore gestione del peso.

  4. Miglior umore e benessere mentale. Gli zuccheri favoriscono la produzione di dopamina, un altro neurotrasmettitore collegato al benessere e all'umore positivo.

Quindi si possono mangiare i carboidrati la sera?

Assolutamente sì!
Se vuoi chiedermi quanti se ne possono mangiare, è necessaria una valutazione personalizzata da parte di un professionista della nutrizione (che invito sempre a contattare se si ha la percezione di non sapere in che direzione andare).

Spero di aver chiarito una volta per tutte che i carboidrati non sono nemici da guardare con diffidenza o di cui avere paura. Il loro corretto uso può paradossalmente fare la differenza in percorsi di dimagrimento o di riabilitazione da patologie o condizioni di vario genere.

Tutta la verità sul digiuno intermittente

“Il numero di libri di diete che incoraggiano a incorporare il digiuno nelle nostre vite è maggiore di vari ordini di grandezza al numero di trial che esaminano se il digiuno dovrebbe essere incoraggiato in generale”.

Ian Templeman, 2020

Il digiuno si pratica da millenni, basti pensare a chi lo fa per motivi religiosi e non dietetico/estetici come nel caso del Ramadan. Solo negli ultimi anni però si è iniziato a parlare tanto di digiuno intermittente (DI), ed andando ad analizzare le motivazioni, credo che si sia tutto innescato in contro-risposta ad una società obesogena ma estremamente contraddittoria, dove il junk food e la pubblicità ci spingevano (e spingono) a mangiare in maniera poco salutare ma i canoni estetici sono sempre più severi ed inclementi.

Premessa doverosa: con il termine digiuno intermittente si indicano diverse tipologie di interventi nutrizionali, molto diversi fra loro, dove la finestra di digiuno è inferiore alle 48 ore consecutive. Esiste il digiuno a giorni alterni (alternate day fasting, ADF) quello per due giorni a settimana, consecutivi o meno, (anche noto come la dieta 5:2) e l’alimentazione ristretta nel tempo con l’assunzione dell’intero apporto calorico quotidiano in una finestra ristretta della giornata (TRE, Time Restricted Eating, di cui fa parte il famosissimo e diffusissimo 16:8).

Dire “digiuno intermittente” non significa nulla e confonde le persone, che pensano che uno valga l’altro.

Detto questo, le ultime ricerche sistematiche della letteratura scientifica riportano tutte lo stesso risultato: i dati non sono sufficienti per dimostrare una reale efficacia del digiuno intermittente sulla perdita di peso, sul miglioramento dei parametri cardiometabolici e sulla resistenza insulinica. I risultati sui modelli animali erano molto più promettenti, quando si è iniziato a fare esperimenti sull’uomo sono iniziati i problemi. Questo perché gli innumerevoli studi eseguiti (sugli innumerevoli tipi di DI) differiscono per la mancanza di procedure standardizzate. Alcuni dimostrano, anche in soggetti fortemente obesi, un vantaggio nella perdita di peso ma non nel miglioramento di glicemia e colesterolo, altri esattamente l’opposto.

E’ assolutamente sconsigliato un DI “fai da te”, perché se la mancanza di energia si protrae, il corpo risponde e si adatta: attiva meccanismi di difesa che rendono le cellule più resistenti agli stress metabolici e innesca l’autofagia, ovvero una morte cellulare controllata, un “suicidio altruistico”, in cui le componenti delle cellule vecchie diventano materiali disponibili per nuove strutture.

In questo modo però il metabolismo basale non riesce più a lavorare in maniera ottimale, e se è già presente un eccesso ponderale il rischio è quello di alimentare una catena senza fine dove non si perde peso e i parametri cardiometabolici non migliorano.

C’è assolutamente la necessità di esperimenti condotti per periodi più lunghi (almeno un anno), secondo protocolli di intervento ben delineati e condivisi, e su determinate categorie di pazienti (normopeso o obesi, prediabetici o sani, uomini o donne - perché sembra esserci un’influenza del sesso nella risposta al digiuno) in modo da poter trarre dati certi ed inconfutabili. 

Un bellissimo lavoro pubblicato Nature Endocrinology solo un anno fa dichiara: «Il grado di perdita di peso è pari a quello ottenuto con gli approcci di restrizione calorica tradizionali. L’impatto sui parametri di rischio cardiovascolare e metabolico è ancora incerto. Mentre alcuni studi hanno dimostrato miglioramenti nella pressione sanguigna, LDL, colesterolo, trigliceridi e resistenza insulinica, altri hanno mostrato che questi effetti positivi non ci sono».

Quindi DI sì o no?

Se senti che non è nelle tue corde, non c’è assolutamente motivo per il quale ti debba costringere a farlo. Se senti invece che è il modello alimentare che fa per te, va ugualmente benissimo!

E’ necessario comprendere che non è il digiuno intermittente in se’ a portare vantaggi, ma è la restrizione calorica, in qualsiasi sua forma, che porta a dei reali benefici per il nostro organismo.

Concludendo:

  • Non funziona di più rispetto a una dieta normale per perdere peso

  • Non insegna nulla dal punto di vista nutrizionale e della gestione dell’alimentazione

  • Non corregge glicemia, colesterolo o altri parametri metabolici in modo migliore rispetto ad altri protocolli di restrizione calorica.

Esiste il metabolismo lento?

Spesso tendiamo erroneamente a pensare che la parola metabolismo sia connessa solo a tematiche alimentari, e cioè a tutti quei processi fisiologici responsabili della perdita o dell’acquisizione di peso. In realtà non è così!


La definizione di metabolismo è molto più complessa, ed abbraccia tematiche fisiologiche varie. La sua definizione enciclopedica è “l’insieme delle trasformazioni chimiche che avvengono nella cellula per produrre energia e nuova materia”, che come puoi facilmente intuire può significare tutto o nulla.

Si tratta di un complesso di reazioni biochimiche di sintesi e di degradazione, che si svolgono in ogni organismo vivente e che ne determinano l'accrescimento, il rinnovamento, il mantenimento. Dire quindi che si ha un metabolismo lento non equivarrebbe solo a dire che perdiamo peso lentamente, ma anche che abbiamo - per tutta la vita e tutti insieme nello stesso momento -  un lento sviluppo dell’abbronzatura, oppure una lenta riparazione di una ferita, una lenta produzione di lacrime. A volte questi esempi che ho citato possono certamente verificarsi, ma non sono riferiti alla lentezza espressa in termini temporali: spesso sono riferiti alla scarsa efficienza di funzionalità, che è un concetto tutto diverso.

Il processo di perdere peso è solo una piccolissima parte dei miliardi di processi metabolici che avvengono contemporaneamente tutti i giorni della nostra vita.

Il perdere peso lentamente non è sinonimo di metabolismo lento.

La confusione nasce dal fatto che tendiamo a considerare come sinonimi le parole metabolismo e metabolismo basale (sottogruppo del metabolismo), che è invece il minimo dispendio energetico del nostro corpo necessario per rimanere in vita e per assicurare le funzioni di base. Questo sì che può aumentare o diminuire (mai bloccarsi!), e dipende da numerosi fattori: alimentazione, attività fisica, età, clima, temperatura corporea, gravidanza/allattamento, menopausa, composizione corporea, patologie ormonali e di altro genere, genetica, sonno e stile di vita. Se gestiti male, tutti questi fattori culminano con il sovrappeso, e di conseguenza con un rallentamento del metabolismo basale.


Quindi mentre non ha senso parlare di metabolismo lento, potrebbe aver senso parlare di metabolismo basale diminuito e di perdita di peso lenta o bloccata: quest’ultima come abbiamo detto può essere la conseguenza (e non la causa) di molti fattori, in primis il sovrappeso.


Ricorda quindi che, se fai fatica a perdere peso, non dipende da un metabolismo lento. E’ il tuo metabolismo basale che non è ottimale perché c’è un eccesso ponderale!