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Il mito delle diete detox: una visione critica sulla necessità ed efficacia

Oggi vorrei parlarti delle diete detox. Sono certa che in questi giorni ne hai sentito parlare attraverso tanti canali: tv, giornali, social sono pieni di consigli per “rimettersi in forma”, per “depurarsi” e per" “recuperare gli eccessi del Natale”.

Sai che mi piace sempre partire dall’inizio. E anche stavolta, non ti deluderò.

 

Il concetto di "dieta detox" (letteralmente “dieta che aiuta la detossinazione”), spesso è associato a quello di eliminazione di sostanze tossiche dal corpo. Tuttavia, il nostro organismo ha già un sistema di disintossicazione altamente efficiente, composto principalmente da fegato, reni, polmoni, intestino e cute (sì, anche la cute attraverso la sudorazione!) chiamati anche organi emuntori.

Il fegato è il principale organo coinvolto nella disintossicazione, metabolizzando ed eliminando le sostanze che il nostro corpo ritiene nocive. I reni filtrano il sangue, rimuovendo i rifiuti e l'eccesso di liquidi, stessa cosa fanno i polmoni con l’aria. Sicuramente già sai cosa fa l’intestino… La verità è che nessuna dieta detox può sostituire l'efficacia di questi organi nel mantenere il nostro corpo in equilibrio.

L'idea che una dieta particolare possa accelerare il processo di detossinazione non ha alcun fondamento scientifico.

Bere tisane drenanti, fare digiuni o mettere in pratica regimi ipocalorici altamente restrittivi che prevedono il consumo di un piccolo ventaglio di alimenti non aiuterà questi organi a lavorare con più efficienza.

Un altro falso mito che le diete detox alimentano è che oltre alla depurazione possa esserci un vantaggio in termini di perdita di peso e quindi di dimagrimento. Il peso però, e questo lo sappiamo bene, non si modifica semplicemente per un surplus calorico ma dipende da moltissime determinanti di salute che si creano nel tempo. Le variazioni di peso nel breve termine sono dovute prevalentemente all’accumulo di liquidi e al gonfiore intestinale e non sono indicative di cambiamenti duraturi. Per questo motivo non necessitano di detox.

Abbiamo già parlato dell’ambivalenza del digiuno intermittente e di dieta chetogenica con il puro scopo del dimagrimento a breve termine e della depurazione in questa newsletter, e abbiamo anche detto che hanno effetti limitati nel tempo e non sempre percorribili da tutti. Anche stavolta, il messaggio che voglio darti è chiaro: diete estreme che promettono di rimetterti in forma sono tra le più pericolose, non solo perché non fanno quel che promettono ma possono anche creare squilibri elettrolitici e nutrizionali.

Gli eccessi delle feste non hanno bisogno
di essere “recuperati”.

 Ma perché allora a volte sentiamo il bisogno di ritornare a mangiare in modo equilibrato e leggero, o addirittura di saltare i pasti o di digiunare per pochi giorni? Queste sensazioni non sono il messaggio chiaro che i nostri organi emuntori sono in difficoltà e quindi mangiando di meno possiamo aiutarli ad accelerare il processo di detossinazione?

No: la sensazione di pienezza è data da un eccessivo riempimento gastrico ed intestinale. L’affaticamento del fegato la maggior parte delle volte è silenzioso (quante persone senti lamentarsi di “mal di fegato”?), e soprattutto arriva dopo molti anni di comportamenti alimentari eccessivi e sbilanciati. Non dopo due settimane di festeggiamenti! E’ uno degli organi più grandi del nostro corpo (secondo solamente alla pelle) ed ha una fisiologia estremamente complessa disegnata dalla natura per lavorare alla massima efficienza e resilienza. Non sarà un estratto di frutta e verdura a dargli degli strumenti aggiuntivi per lavorare meglio, così come non saranno poche settimane di sbilanciamenti alimentari a mettere in crisi la sua attività.

Non dico che non sia giusto saltare dei pasti o di ridurre l’introito di cibo per alcuni giorni se ne sentiamo il bisogno. Dico che è sbagliato farlo pensando di:

  • poter dimagrire più rapidamente

  • dare “una scossa al metabolismo” per riprendersi in fretta

  • aiutare il fegato e tutti gli altri organi a lavorare meglio.

Piuttosto, è fondamentale concentrarsi su un'alimentazione equilibrata e sostenibile sul lungo termine. Includere una varietà di frutta, verdura, proteine magre, grassi buoni e carboidrati complessi fornisce al corpo e quindi anche agli organi emuntori i nutrienti necessari per funzionare correttamente riducendo il rischio di minare la loro fisiologia nel tempo.

Ti ho convinto Nome dell'abbonato a diffidare delle diete detox? Qual è la tua esperienza in merito? Sono curiosa di leggerti e di confrontarmi con te!

Le festività natalizie, croce e delizia

Il Natale spesso è considerato come l’ennesima complicazione al proprio percorso alimentare. C’è chi da una parte non riesce a godere di questi momenti per paura di esagerare, tentando resistenze e digiuni. Dall’altra, c’è chi si lascia completamente andare vivendo però nei giorni successivi grandi sensi di colpa, cercando di riparare con inutili regimi alimentari eccessivamente restrittivi.

Serenità: se durante tutto l’anno si è seguito uno stile alimentare equilibrato, qualche eccesso in più non comprometterà il tuo percorso di cambiamento.

Niente sensi di colpa, bensì consapevolezza.

Di seguito proviamo a chiarire qualche dubbio o perplessità che le festività natalizie portano sempre con se’.
Pronti? Via!

 

1) Quando potrei mangiare un po’ di più?

I giorni in cui si *deve* allentare un po’ di più l’attenzione a tavola sono la cena del 24 dicembre, il pranzo del 25 e il cenone del 31. Tutte le altre occasioni (pranzo del 24, cena del 25, tutto il 26, pranzo del 1° gennaio) dovrebbero rappresentare dei pasti normali ed equilibrati, ma gustosi, come quelli che seguiamo durante tutto l’anno. Non dimenticarti degli spuntini!  Ti aiutano a saziarti, a regolare la glicemia e la produzione di insulina e quindi ad arrivare all’occasione speciale con una fame moderata.

2) A Natale è possibile fare dei danni irreparabili?

No! E’ biologicamente impossibile ingrassare in periodo di tempo breve e particolarmente denso di calorie. L’aumento di peso che noti sulla bilancia nei giorni delle feste è dovuto prima di tutto alla ritenzione dei liquidi e all’aumento del volume intestinale.

Non pesarti durante questo periodo! L’ingrassamento vero e proprio è causato da un aumentato apporto di cibo cronico rispetto al proprio fabbisogno, cioè quando continui a sovralimentarti per settimane senza sosta, senza muoverti e quindi senza un dispendio energetico adeguato che controbilanci le calorie ingerite con i pasti.

3) Come posso gestire tutti gli eventi pre-Natalizi?

Pianifica in anticipo i pasti della giornata in cui hai un evento serale. Assicurati di consumare pasti equilibrati per evitare di arrivare troppo affamat* all'evento. Quando sei lì, opta per porzioni più piccole, scegliendo cibi ricchi di proteine magre, verdure e porzioni moderate di carboidrati. Limita il consumo di cibi ricchi di zuccheri aggiunti e grassi saturi. Attenzione anche all’alcol: alternalo con acqua o bevande analcoliche per ridurre il consumo complessivo e mantenere l'idratazione.

4) Come posso smaltire gli avanzi dei giorni di festa?

Puoi pensare di porzionare e poi congelare le pietanze un po’ più condite: consumate poco a poco in piccole quantità ovviamente non rappresentano un problema. Anche regalare dolci mai aperti, anziché tenerli in casa, potrebbe rappresentare una buona idea per tenere a bada le tentazioni. Se vuoi concederti qualche cosa in più, è meglio a colazione (cercando di bilanciarla bene con una fonte di proteine e di grassi buoni): c’è tutto il tempo, durante la giornata, di smaltirlo. Una fetta di panettone o pandoro, un pezzettino di torrone alla nocciola… un’occasione felice per festeggiare un periodo così speciale.

5) Ho il timore di risultare maleducat* se rifiuto il cibo offerto. Cosa fare?

Inizia sempre ringraziando per l'offerta con un tono caloroso e sincero. Poi, spiega gentilmente il motivo per cui stai rifiutando. Ad esempio, potresti dire: «Grazie mille per l'offerta, ma sono pien* ora» o «Apprezzo molto, ma sto cercando di fare scelte più leggere oggi». Se ti senti a tuo agio, puoi accettare una piccola porzione del cibo offerto. In questo modo, mostri apprezzamento senza dover mangiare una quantità eccessiva.

6) Non riesco a frenarmi dal mangiare ma poi so che mi pentirò. Cosa fare?

Zero sensi di colpa! Rifletti sulle ragioni per cui stai mangiando. Se mangi per rispondere a emozioni come noia, stress o tristezza, potresti essere coinvolt* in una fame emotiva. Imparare a distinguere tra fame fisica ed emotiva può essere utile, ma imparare a mangiare in modo consapevole implica molto esercizio, che non si fa durante le festività. Cerca di goderti in serenità il pasto condiviso con le persone, a tutto il resto ci si penserà dopo.

Tutti i volti dell'indice e del carico glicemico

Oggi parliamo di un argomento tanto importante quanto molto spesso trascurato, ossia la differenza fra l'Indice Glicemico (IG) e il Carico Glicemico (CG) degli alimenti. Questi due concetti sono strumenti fondamentali per comprendere come i carboidrati influenzano i nostri livelli di zucchero nel sangue e la nostra salute in generale.

Cos'è l'Indice Glicemico?

L'IG è una misura che indica quanto rapidamente un alimento contenente carboidrati aumenta i livelli di zucchero nel sangue (ti ricordo che gli zuccheri sono la forma più semplice e pura dei carboidrati, che per loro natura esistono anche in forme più complesse). Gli alimenti con un IG alto causano un rapido aumento di questi zuccheri, mentre quelli con un IG basso lo fanno in modo più graduale.

L’IG si misura teoricamente valutando l’incremento della glicemia quando si assumono 50 g di glucosio. Questa misura viene espressa in termini percentuali rispetto al glucosio puro (o pane bianco), che viene preso come punto di riferimento stabilendone un valore pari a 100. Esistono pertanto delle tabelle dell’IG che classificano gli alimenti in alto IG, medio IG e basso IG.

Conoscere l'IG degli alimenti può aiutarti a fare scelte più consapevoli e a gestire meglio i tuoi livelli di zucchero nel sangue. Ad esempio, se hai bisogno di un rapido apporto di energia (come dopo un allenamento o in seguito a una crisi ipoglicemica se soffri di diabete di tipo I), potresti optare per alimenti con un IG più alto.

L’IG può essere influenzato anche dalla composizione nutrizionale dell’alimento, ad esempio ad opera delle fibre o di grassi presenti contestualmente nel pasto e che tendono a rallentare l’assorbimento intestinale dei carboidrati.

Consumare quindi alimenti che hanno un IG alto (come la pasta non integrale) potrebbe essere non così impattante sulla nostra glicemia se ad esempio li consumiamo con della verdura ad alta quantità di fibra, magari anche con dell’olio extravergine di oliva ricco di grassi polinsaturi.

Esiste però anche il Carico Glicemico. Di cosa si tratta?

Il CG va un passo oltre l'IG. Non solo tiene conto della velocità con cui un alimento aumenta i livelli di zucchero nel sangue, ma lo fa anche considerando la quantità di carboidrati contenuti nell'alimento stesso. Il CG valuta quindi l’effetto sulla glicemia di un alimento basandosi sulle quantità effettivamente consumate.

Per studiare il carico glicemico di un pasto si usa una formula matematica (Indice glicemico /100) x g di carboidrati a porzione). Un alimento con un basso IG potrebbe avere un alto CG se contiene una grande quantità di carboidrati, ma è anche possibile che un alimento con un alto IG possa avere un CG basso.

In sintesi: mentre l’Indice Glicemico è la misura della qualità dei carboidrati, il Carico Glicemico è la misura della loro quantità e tiene conto, dunque, sia dell’IG che del contenuto di zuccheri per porzione consumata.

Per molto tempo, considerando solo l’IG, molti vegetali come le carote o la zucca sono state erroneamente eliminate dalla dieta di molte persone perché hanno in effetti un indice glicemico alto. Facciamo proprio l’esempio della zucca, prezioso ortaggio di questo periodo autunnale: una porzione da 200 g contiene solo 7 g di carboidrati. L’IG della zucca è 85, ma il suo CG per porzione è 5,95, quindi bassissimo! 

Va anche detto che la zucca è un alimento ricchissimo di fibre ed acqua, che di conseguenza mitigano anche il suo IG alto.

Quindi: via libera a zucca, carote e altri alimenti simili come papaia, melone, barbabietola, carote, anguria, rapa, sedano rapa!

Esiste il metabolismo lento?

Spesso tendiamo erroneamente a pensare che la parola metabolismo sia connessa solo a tematiche alimentari, e cioè a tutti quei processi fisiologici responsabili della perdita o dell’acquisizione di peso. In realtà non è così!


La definizione di metabolismo è molto più complessa, ed abbraccia tematiche fisiologiche varie. La sua definizione enciclopedica è “l’insieme delle trasformazioni chimiche che avvengono nella cellula per produrre energia e nuova materia”, che come puoi facilmente intuire può significare tutto o nulla.

Si tratta di un complesso di reazioni biochimiche di sintesi e di degradazione, che si svolgono in ogni organismo vivente e che ne determinano l'accrescimento, il rinnovamento, il mantenimento. Dire quindi che si ha un metabolismo lento non equivarrebbe solo a dire che perdiamo peso lentamente, ma anche che abbiamo - per tutta la vita e tutti insieme nello stesso momento -  un lento sviluppo dell’abbronzatura, oppure una lenta riparazione di una ferita, una lenta produzione di lacrime. A volte questi esempi che ho citato possono certamente verificarsi, ma non sono riferiti alla lentezza espressa in termini temporali: spesso sono riferiti alla scarsa efficienza di funzionalità, che è un concetto tutto diverso.

Il processo di perdere peso è solo una piccolissima parte dei miliardi di processi metabolici che avvengono contemporaneamente tutti i giorni della nostra vita.

Il perdere peso lentamente non è sinonimo di metabolismo lento.

La confusione nasce dal fatto che tendiamo a considerare come sinonimi le parole metabolismo e metabolismo basale (sottogruppo del metabolismo), che è invece il minimo dispendio energetico del nostro corpo necessario per rimanere in vita e per assicurare le funzioni di base. Questo sì che può aumentare o diminuire (mai bloccarsi!), e dipende da numerosi fattori: alimentazione, attività fisica, età, clima, temperatura corporea, gravidanza/allattamento, menopausa, composizione corporea, patologie ormonali e di altro genere, genetica, sonno e stile di vita. Se gestiti male, tutti questi fattori culminano con il sovrappeso, e di conseguenza con un rallentamento del metabolismo basale.


Quindi mentre non ha senso parlare di metabolismo lento, potrebbe aver senso parlare di metabolismo basale diminuito e di perdita di peso lenta o bloccata: quest’ultima come abbiamo detto può essere la conseguenza (e non la causa) di molti fattori, in primis il sovrappeso.


Ricorda quindi che, se fai fatica a perdere peso, non dipende da un metabolismo lento. E’ il tuo metabolismo basale che non è ottimale perché c’è un eccesso ponderale!

Sono nata il ventuno a primavera

Sono nata il ventuno a primavera
ma non sapevo che nascere folle,
aprire le zolle
potesse scatenar tempesta.
Così Proserpina lieve
vede piovere sulle erbe,
sui grossi frumenti gentili
e piange sempre la sera.
Forse è la sua preghiera.
— Alda Merini, Vuoto d'Amore 1991

Non potevo che iniziare questo post con una poesia di Alda Merini, che personalmente adoro. I miei pazienti lo sanno, a studio ho appeso un quadro con una delle sue frasi che sento vibrare da dentro: "Mi piace chi sceglie con cura le parole da non dire". Un giorno scriverò un post sul significato di questa poesia, che richiama così tanto anche la mia professione...

Ma! L'equinozio di primavera è arrivato prima del previsto: le temperature non sembrerebbero darci ragione quest'anno, ma per quanto se ne dica, la primavera da sempre è la stagione della rinascita, del risveglio dal letargo, del RINNOVAMENTO. Le stagioni hanno tutte un loro fascino, ma la primavera porta con se dei significati importanti, che fanno parte della nostra natura umana: mai stazionare, sempre cambiare, sempre fiorire. L'essere umano ha bisogno di sbocciare con ciclicità, di avvertire sotto la propria pelle un lavoro di rinnovamento che alla fine esplode, come un cambio di muta. La primavera ci dà la possibilità di cambiare, di migliorare, di farci esprimere alle nostre massime potenzialità. E poi è la stagione dei Sakura, la massima fioritura dei boccioli di ciliegio!

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Il cibo, in questo, riveste un ruolo fondamentale: se è vero che siamo ciò che mangiamo, la nostra alimentazione diventa una chiave di svolta in questo processo di rinascita.
I segreti per farlo al meglio sono pochi ma fondamentali, e vanno seguiti tutti.

1) DEPURARE. La verdura di stagione ci viene in aiuto. Scegliamo verdure amare che stimolano il fegato, organo preziosissimo che elimina le scorie pericolose per il nostro organismo. Rucola, asparagi, puntarelle, cicoria, carciofi, catalogna, tarassaco, radicchio rosso, rabarbaro, prezzemolo, coriandolo. Sotto forma di insalata ricca prima di ogni pasto, o leggermente scottate in padella con un po' di olio EVO o olio extravergine di cocco, alla piastra o alla griglia... le combinazioni sono davvero innumerevoli e basta un pizzico di fantasia per combinarle in modo gustoso. 

La depurazione non può che avvenire per mezzo dell'acqua. Bere, bere tantissimo! Anche sotto forma di the e e tisane, acque naturalmente aromatizzate con erbe e frutta, centrifughe, estratti, frullati. Anche in questo caso le verdure ci aiutano: oltre a quelle amare scegliamo quelle con più acqua, prime fra tutte: cetrioli e finocchi!

Un piccolo consiglio: riempite le vostre tavole primaverili di tzatziki! E' una salsa greca composta da yogurt greco, cetrioli, succo di limone, poco aglio scottato in padella e olio EVO. Provare per credere!

Un piccolo consiglio: riempite le vostre tavole primaverili di tzatziki! E' una salsa greca composta da yogurt greco, cetrioli, succo di limone, poco aglio scottato in padella e olio EVO. Provare per credere!

2) RIPRISTINARE. L'inverno porta con se febbri, raffreddori, malesseri. Il nostro sistema immunitario ha bisogno di essere ripristinato, e lo può fare grazie a un boost di vitamina C: fragole, kiwi, limoni, cedri, le ultime arance.

Per supportare la nostra massa muscolare che durante l'inverno può essersi un po' ridotta, aggiungiamo anche delle proteine. Scegliamo proteine nobili e poco pesanti, come carni leggere di pollo e tacchino, pesci magri come ricciola, pagello, rombo, calamari, seppie, totani (lo sapete che anche il pesce mediterraneo ha una sua stagionalità?), legumi freschi come fave e piselli.

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3) NUTRIRE. Scegliamo cereali integrali in chicco come quinoa, amaranto, grano saraceno, farro e orzo, teff, riso integrale. Il clima ce lo permetterà, questi cereali sono perfetti anche per delle insalate fredde combinate a verdure e legumi (e perché no, anche della frutta!). Possiamo anche optare per dei latticini "sapienti": scaglie di Parmigiano Reggiano, ricotta vaccina magra, yogurt greco full fat


... che possiate sbocciare selvaggiamente.

Chiara

I dolcificanti naturali: quali e perchè?

La questione è sempre difficile: zucchero o dolcificante nel caffè e nei dolci?
E fra i vari tipi di zucchero, qual’è il migliore? Quello più dietetico o più sano? 

E’ noto che gli zuccheri semplici vanno fortemente limitati nella nostra dieta quotidiana: innalzano bruscamente la nostra glicemia per poi farla scendere altrettanto bruscamente, non sviluppano senso di sazietà e apportano molte calorie. 

Il vero volto del latte

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E’ in corso, ormai da svariati anni, un acceso dibattito scientifico circa il ruolo del latte vaccino nella nostra vita quotidiana. Fa bene? Fa male? E’ utile per le nostre ossa perché contiene calcio? Le sue proteine aumentano il rischio di tumori?
La verità è che ancora non lo sappiamo. O per lo meno non lo sappiamo ancora con certezza.

Se da una parte è presente una forte fazione di studiosi (e di linee guida) che ritiene che il latte sia un alimento prezioso perché contiene calcio, proteine nobili, e perché contribuisce alla crescita dei bambini e alla mineralizzazione delle ossa, dall’altra è presente un altrettanto forte gruppo che sostiene che il latte vaccino in realtà faccia più danni che altro.

Mi preme sottolineare che il consumo di latte vaccino da parte degli adulti è un’abitudine strettamente occidentale: in Asia, Africa e altre parti del mondo il latte è utilizzato solo per i neonati e nei primi anni di vita. Adesso che con la globalizzazione le abitudini si stanno mescolando, la questione diventa più confusa. In effetti, parlando da un punto di vista strettamente evoluzionistico, l’adulto non è pienamente “equipaggiato” per digerire il latte. Il lattosio, lo zucchero maggiormente presente nel latte, richiede per essere digerito la presenza di un enzima, la lattasi, prodotta solo nei primissimi anni di vita. Il nostro organismo adulto si è relativamente adattato e ne produce un po’ di più nel corso della vita (a patto che però il latte venga consumato regolarmente), anche se non è un caso che in generale il latte, da tantissime persone, venga utilizzato solo come lassativo la mattina e non perché piaccia davvero: tantissimi miei pazienti sostengono di non tollerare il gusto del latte, ma di avere necessità di assumerlo all’inizio della giornata, e per questo lo combinano con il caffè per camuffare il suo sapore. Esistono poi persone intolleranti al latte, o persone allergiche alle proteine del latte, come ben sappiamo.

Il calcio di per se è un minerale molto importante che serve alla costruzione e al mantenimento delle nostre ossa e dei denti (90% del calcio corporeo totale!), la produzione di cellule del sangue, la trasmissione degli impulsi nervosi e così via. I latticini ne sono sicuramente la fonte maggiore, seguiti dalle verdure a foglia verde, come salvia, rughetta, cicoria, bieta, cavoli, broccoli, fagiolini, ma anche legumi e cereali integrali. E’ anche vero però che il latte contiene degli acidi organici e delle proteine che richiamano calcio dalle ossa per essere smaltiti. Parte di un importantissimo studio condotto ad Harvard, l’Harvard Nurses' Health Study, durato circa 12 anni, ha infatti dimostrato che un maggiore utilizzo di latte è associato a un rischio maggiore di fratture dell’osso in età avanzata e a una maggiore incidenza di osteoporosi. L’osteoporosi è una patologia caratterizzata dalla perdita progressiva di massa ossea. Un individuo sano che assume un buon quantitativo di calcio nella sua dieta quotidiana e che svolge regolare attività fisica, costruisce il suo osso fino all’età di 30 anni circa, dopodiché inizia ad indebolirsi.

Sembrerebbe che per prevenire l’osteoporosi il latte non serva a molto, poiché più di mezzo litro al giorno potrebbe addirittura favorirla. E’ importante sì assumere calcio (anzi, importantissimo), ma è non di certo l’unico modo per prevenire la comparsa dell’osteoporosi. I segreti condivisi da tutte le linee guida sono:

  • regolare esercizio fisico. L’attività fisica, vista come uno “stress” dall’organismo, lo induce a rafforzare le ossa per renderle più dense e resistenti. Camminare, danzare, correre, arrampicarsi sono attività fondamentali per la salute del nostro scheletro e dei nostri muscoli (che se ben strutturati, prevengono anche il rischio di cadute in età avanzata).
  • assumere dosi adeguate di vitamina D. La vitamina D “comunica" con intestino e reni, rispettivamente per incoraggiare l’assorbimento del calcio e per minimizzare la sua perdita attraverso le urine. Per la salute delle ossa, un’adeguata assunzione di vitamina D non è di certo meno importante dell’assunzione di calcio. Si trova nel latte e negli integratori, ed è prodotta endogenamente dalla nostra pelle in seguito all’esposizione al sole. 
  • assumere vitamina K. Aiuta moltissimo la regolazione di calcio e la formazione di ossa. Si trova nei broccoli, cavoletti di Brussels, lattuga e più in generale ortaggi a foglia verde.

L’aspetto più controverso di tutta la questione è comunque quella legata alle proteine del latte (una fra tutte: la caseina, demonizzata in celebri libri come The China Study), che sembrerebbero avere un effetto negativo sullo stato infiammatorio immunitario dell’organismo. Altererebbero l’asse ormone crescita aumentando il rischio di diabete mellito, malattie cardiovascolari, tumori, disordini neurodegenerativi. Come già anticipato prima, inoltre, il loro smaltimento insieme a quello di acidi organici presenti nel latte verrebbe operato grazie alla ricettazione del calcio dalle ossa. Il latte che ci ritroviamo a bere potrebbe inoltre contenere anche cellule somatiche di mucca, contaminazioni batteriche, residui di antibiotici, ormoni, tutte regolamentate dalla legge, che pone però solamente dei limiti. Soprattutto la questione degli ormoni e dei fattori di crescita è ben sostenuta da chi teme che il latte aumenti il rischio di tumori (all’ovario, alla prostata, ecc.)

Tutte queste sono però ipotesi, supposizioni, od evidenze che necessitano assolutamente di maggiori studi e prove. Il mondo scientifico, ad oggi, ha idee ancora confuse e sommarie sul vero volto del latte vaccino nella nostra dieta quotidiana. Per adesso, quello che possiamo fare è attenerci alle linee guida, quindi di non consumare più di 1-2 bicchieri al giorno di latte e di alternarlo ad altre fonti di calcio. Per chi non lo ha mai bevuto, può continuare a non berlo.

L'importanza del controllo nutrizionale

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A volte i pazienti mi dicono che non ha senso presentarsi ai controlli, o che preferiscono rimandare di una settimana per numerose ragioni: non si è perso peso come ci si sarebbe aspettato, si è mangiato male rispetto a quanto previsto dal piano alimentare, non si è dell’umore giusto, o addirittura si deluderebbero le mie aspettative.

Presentarsi al controllo, a prescindere dai risultati ottenuti, è un atto di conoscenza. Durante la visita non si vince un premio o si supera una prova, e al nutrizionista non bisogna dimostrare nulla: ripartire dagli errori commessi è una presa d’atto e un gesto d’amore verso se stessi. Il titolo di questo blog recita: “Il corpo è come un tempio e come tale va curato e rispettato, sempre.” Questo “sempre” si riferisce anche ai momenti no. Al controllo si capisce insieme cosa bisognerebbe migliorare, eventuali cambi di direzione, si studia il periodo particolare che eventualmente si sta attraversando, si fa un’anamnesi attenta del proprio stato fisiologico e patologico. La maggior parte delle volte, i pazienti che arrivano scoraggiati vengono accolti con delle sorprese inaspettate. Il peso non si è mosso più di tanto ma dall’analisi antropometrica risulta che le circonferenze sono notevolmente diminute, e dalla bioimpedenziometria si scopre che le variazioni di peso sono dovute ad oscillazioni dei liquidi.

Mi rendo conto che ci vuole tempo per rendersi completamente indipendenti dal risultato della bilancia, dando invece maggiore importanza alle proprie sensazioni, o se siamo finalmente riusciti dopo tanto tempo ad indossare quel vestito o quel paio di pantaloni dimenticati nell’armadio.

La sensazione di benessere è la cosa che più conta, e parte da dentro. Per questo motivo praticare attività fisica, di qualsiasi entità, aiuta sicuramente a sentirsi meglio lavorando in sinergia con il cambiamento delle abitudini alimentari. E velocizza anche i risultati!

I grassi

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I lipidi (da lipos, grasso), dal punto di vista chimico, comprendono numerose sostanze con caratteristiche e proprietà diverse, insolubili e solubili. 

Di piccola dimensione, presentano una parte caratterizzata dalla presenza di almeno una catena di atomi di carbonio e idrogeno più o meno lunga, chiamata acido grasso.

A noi interessano principalmente due tipi di lipidi: 

  • quelli a funzione energetica, detti anche di deposito o di riserva, i cosiddetti trigliceridi. Vengono immagazzinati nei semi o nei frutti dei vegetali oppure accumulati nel tessuto adiposo degli animali (come l’uomo). 
  • quelli a funzione strutturale (fosfolipidi, glicolipidi e colesterolo), che formano le membrane delle cellule e il tessuto nervoso.

Inoltre, alcuni composti a funzione regolatrice rientrano nella classe dei lipidi, come le vitamine liposolubili e le sostanze derivate dal colesterolo.

Gli acidi grassi sono molecole ad almeno quattro atomi di carbonio, fino ad un massimo di 24-26, che contengono un gruppo funzionale carbossilico -COOH. Differiscono fra loro per la lunghezza della catena e per l’assenza o la presenza di doppi legami lungo di essa. 

In particolare, si parla di acidi grassi saturi quando i legami sono tutti semplici (-C-C-), monoinsaturi quando contengono un doppio legame (-C=C-) e polinsaturi quando i doppi legami sono due o più.

Gli acidi grassi saturi prevalgono nel mondo animale, mentre gli insaturi si trovano prevalentemente nei vegetali e nel pesce.

Tra gli acidi grassi più diffusi sono da ricordare il palmitico e lo stearico (saturi), l’oleico (monoinsaturo), il linoleico o omega 6 e il linolenico o omega 3 (polinsaturi). Questi ultimi due sono anche detti acidi grassi essenziali (AGE), poiché il corpo umano non può sintetizzarli ma deve assumerli sistematicamente attraverso la dieta. Gli AGE e i loro derivati sono importanti perché costituenti dei fosfolipidi delle membrane cellulari e perché regolano la concentrazione di colesterolo nel sangue, come effetto preventivo dell’aterosclerosi, che ricordiamo essere la formazione anomala di placche di lipidi lungo le arterie, che tendono col tempo ad indurirsi a predisporre ad infarto ed ictus. In particolare, ricordiamo, tra gli acidi grassi a lunga catena, l’acido eicosapentaenoico (EPA) e il docosaesanoico (DHA), derivati dell’omega 3 e presenti nel pesce. Essi aiutano anche ad incrementare i livelli di colesterolo HDL (il “colesterolo buono”) e a favorire l’eliminazione dei trigliceridi dal flusso sanguigno.

Dall'altra parte, da molti anni, è stato accertato che i principali acidi grassi che alzano il livello di colesterolo, aumentando i rischi di malattie cardiovascolari, sono gli acidi grassi saturi con 12 (acido laurico), 14 (acido miristico) e 16 (acido palmitico) atomi di carbonio. 

Senza titolo

Un aspetto interessante da approfondire riguarda il fatto che gli uomini del paleolitico introducevano una dieta con rapporto omega 6: omega 3 = 2 : 1, quindi una quantità circa doppia di acido linoleico rispetto al linolenico. Uno dei prodotti della via biosintetica dell’omega 6 è l’acido arachidonico, la cui presenza è stata associata con un aumento di fenomeni infiammatori generali. La dieta moderna occidentale, ha portato il precedente rapporto a un 15-25 : 1.

E’ ormai accreditata l’ipotesi che da un alterato rapporto fra questi due acidi grassi essenziali possano scaturire fenomeni infiammatori.

Proprio per questo motivo, la pubblicità dell’Olio Cuore (che tutti ricordiamo, trattasi di olio di semi di mais), nel 1998 è stata censurata in quanto ritenuta come “pubblicità ingannevole”. La pubblicità descriveva il prodotto come un olio leggero, salutare e dietetico. Non esistono certezze scientifiche circa gli effetti positivi dell’olio di mais sulle malattie cardiovascolari; tutt’altro, l’olio di mais contiene una considerevole quantità di acidi grassi polinsaturi che possono comportare conseguenze negative per la salute (sempre grassi sono!). 

I gliceridi invece, sono i grassi più diffusi. Si formano dall’unione del glicerolo e di più acidi grassi (di-gliceridi se sono due, tri-gliceridi se sono tre). I grassi propriamente detti sono quelli in cui prevalgono gli acidi grassi saturi; essi sono solidi o semi solidi a temperatura ambiente, come ad esempio il burro e lo strutto. Sono invece generalmente indicati come oli i lipidi in cui prevalgono gli insaturi, che sono liquidi a temperatura ambiente (come l’olio d’oliva).

Gli steroidi sono un gruppo di composti che comprendono il colesterolo e i suoi derivati. Il colesterolo è una molecola di grande importanza biologica, componente delle membrane cellulari ed è anche il composto a partire dal quale il corpo sintetizza alcuni ormoni e gli acidi biliari. Il fegato di un uomo adulto sintetizza circa 4 gr di colesterolo al giorno (il 70% del fabbisogno quotidiano!), cui si somma quello introdotto dagli alimenti. Gli alimenti che ne contengono di più sono tuorlo dell’uovo, il cervello e le frattaglie. Un eccessivo apporto alimentare di colesterolo può determinare un aumento del suo apporto nel sangue (ipercolesterolemia) e costituire un fattore di rischio per le malattie cardiovascolari. 

Come già accennato, anche i grassi saturi contribuiscono all’aumento del colesterolo nel sangue, in particolare di quella frazione detta colesterolo “cattivo” o LDL, responsabile dei fenomeni arteriosclerotici, rispetto a quello buono o HDL.

Alzheimer e nutrizione: le prime linee guida?

                                                          Illustrazione di Gianluigi Marabotti

                                                          Illustrazione di Gianluigi Marabotti

Pubblico sul blog l'articolo che ho scritto per La Scuola di Ancel uscito la settimana scorsa, su un argomento che probabilmente interesserà un po' a tutti.. i legami fra la nutrizione e la Malattia d'Alzheimer. Buona lettura!

Attualmente non si conoscono né le cause né le terapie della malattia di Alzheimer, la forma più comune di demenza degenerativa invalidante. È una malattia complessa e multifattoriale, dovuta cioè a numerosi fattori, ambientali e genetici. Nel rapporto mondiale del 2010 è stato calcolato che ci sono circa 35,6 milioni di persone affette da demenza, che aumenteranno a 65,7 milioni nel 2030. In Italia, nell’ultimo secolo, la frazione di ultrasessantacinquenni si è quasi triplicata e, dunque, la demenza strettamente legata all’invecchiamento è destinata a diventare un rilevante problema clinico, sanitario ed economico.

I farmaci in commercio riescono solo ad alleviare i sintomi dell’Alzheimer e la comunità scientifica sottolinea sempre con più convinzione l’importanza della prevenzione, attualmente l’unico valido strumento per affrontare la malattia che sfortunatamente è progressiva. È necessario porre l’attenzione sulla qualità dell’ambiente che ci circonda e sul nostro stile di vita, che comprende naturalmente un’alimentazione sana ed equilibrata. Da pochi anni a questa parte si discute della possibile associazione tra nutrizione e malattia di Alzheimer e di come la prima possa aiutare a prevenire la seconda. A tal proposito, è da poco uscita una review nella quale si cercano di stilare delle linee guida alimentari nell’ambito della prevenzione dell’Alzheimer.

Partendo dal presupposto che ancora non si riesce a far luce sul declino cognitivo patologico e che i dati in letteratura sono a volte controversi, di difficile interpretazione e ancora insufficienti, si assume che i fattori maggiormente implicati per le malattie cardiovascolari e il diabete siano gli stessi anche per l’Alzheimer. Secondo l’autore del lavoro, le raccomandazioni sono essenzialmente sette.

  1. Ridurre al minimo i grassi saturi e trans. Una dieta con dosi eccessive di grassi saturi e trans è stata associata al rischio di malattie cardiovascolari e diabete di tipo 2, a loro volta associate con il rischio di Alzheimer. Inoltre, l’allele APOE4, che aumenta il rischio di insorgenza della demenza, produce una proteina che gioca un ruolo chiave nel trasporto del colesterolo.
  2. Consumare frutta, verdura, legumi e cereali integrali. Il consumo di verdura e cereali è associato alla riduzione del declino cognitivo, mentre quello della frutta e dei legumi alla protezione da malattie cardiovascolari e diabete di tipo 2. In particolare, i folati e la vitamina B6, contenuti in molti tipi di frutta e verdura, agiscono come cofattori per la metilazione dell’omocisteina, la cui presenza eccessiva può essere associata a un maggiore rischio di declino cognitivo.
  3. Assumere lavitamina E dalla dieta e non dagli integratori. Una buona assunzione di vitamina E, contenuta ad esempio nell’olio extravergine di oliva, nelle mandorle e nelle noci, è associata a una minore incidenza dell’Alzheimer, a differenza di quella contenuta negli integratori, la cui assunzione non sembra mostrare gli stessi benefici.
  4. Assumere vitamine del gruppo B. Specialmente la B6 e la B12 sono importanti per la salute del sistema nervoso e per la formazione delle cellule del sangue.
  5. Preferire gli integratori multivitaminici senza rame e ferro. Il rame e il ferro sono essenziali per le funzioni enzimatiche, la formazione dell’emoglobina e di alcune proteine. Tuttavia, è preferibile assumerli attraverso una dieta equilibrata, poiché alcuni recenti studi hanno dimostrato che un loro eccessivo uso potrebbe essere associato, per alcuni individui, a problemi cognitivi.
  6. Minimizzare l’esposizione all’alluminio. Contenuto in pentole per cottura, antiacidi, lieviti in polvere, è considerato potenzialmente neurotossico (in grandi quantità), nonostante la questione sia ancora controversa. È stato riscontrato, da analisi post-mortem, nel cervello delle persone affette da Alzheimer.
  7. Includere esercizio aerobico nella propria routine. Studi osservazionali hanno più volte dimostrato come le persone che si allenano per un minimo di 40 minuti tre volte alla settimana hanno un minor rischio di ammalarsi di Alzheimer. Come per le malattie cardiovascolari e il diabete, l’attività fisica deve entrare a far parte del nostro stile di vita di pari passo con una corretta alimentazione.

Bibliografia
- Barnard ND, et al. — Dietary and lifestyle guidelines for the prevention of Alzheimer’s disease — Neurobiol Aging. 2014 May 14. pii: S0197-4580(14)00348-0. doi: 10.1016/j.neurobiolaging.2014.03.033
World Alzheimer Report 2010: The Global Economic Impact of Dementia
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