Digressioni

La fame emotiva non è solo una questione di forza di volontà

Ormai ho alle spalle quasi dieci anni di attività ambulatoriale, e durante tutto questo periodo ho avuto il privilegio (perché di questo si tratta!) di incontrare centinaia di pazienti con i loro vissuti, le loro storie, le loro necessità. Tutti si sono rivolti a me con una specifica richiesta di aiuto, e credimi quando ti dico che quello con cui più ho dovuto combattere sono stati la cultura della dieta e alcuni pregiudizi legati al concetto di forza di volontà nel saper gestire la cosiddetta “fame nervosa”.

Strano per una nutrizionista, vero? Viviamo in un’epoca di grandi cambiamenti dove la rigida ed impositiva cultura dietetica degli anni ‘50-’60-’70 si sta lentamente trasformando, ma purtroppo c’è ancora molto lavoro da fare. Un percorso dietetico volto al miglioramento del proprio benessere (che si tratti di dimagrimento, di aumento della massa muscolare o di trattamento di alcune patologie o condizioni) non è solo frutto della forza di volontà della persona coinvolta. Questo però è quello che ci hanno sempre fatto credere: la cultura della dieta spesso enfatizza la forza di volontà come un elemento cruciale nel perseguire e mantenere uno stile di vita sano e la identifica come lo specchio del valore della persona stessa. Basa le sue credenze sui due concetti di autocontrollo e disciplina, che però non sono sempre applicabili.

Il fatto di non riuscire a seguire sempre le indicazioni prescritte non dipende da una bravura più o meno marcata nel gestire le proprie emozioni, nel resistere alle tentazioni. Esistono molteplici fattori che influenzano le scelte alimentari, come l'accessibilità agli alimenti, l'ambiente sociale in cui si vive, le abitudini di vita e sì, anche la genetica. Tutti questi aspetti non possono essere trascurati, e pensare che “volere è potere” è estremamente semplicistico e riduttivo, oltre che pericoloso per coloro che non godono di una robusta autostima. 

La fame nervosa (o emotiva) fa parte biologicamente ed evolutivamente
della nostra specie.

Dobbiamo tornare nell’era paleolitica, in cui l’uomo primitivo non aveva la possibilità di mangiare in continuazione; spendeva interi giorni, settimane, addirittura mesi nel cacciare animali di grossa taglia o per incontrare luoghi con alberi da frutto o arbusti sui quali crescessero bacche non tossiche. Tralasciando il meccanismo di risparmio energetico che gli ha permesso di sopravvivere (e di cui parleremo magari in un’altra newsletter), dobbiamo tornare indietro nel tempo considerando il suo stato psico-emotivo conseguente a tanti giorni di incertezza, quando non sapeva se fosse stato in grado di sopravvivere o meno.

Nel corso dei millenni l’uomo ha costantemente sperimentato la sensazione di ansia nel non riuscire a procacciarsi del cibo, e il suo cervello con lui. Quando riusciva a farlo, mangiare in modo veloce era anche un’espressione della sofferenza passata durante l’astinenza, oltre che della paura che quel cibo potesse essere rubato e mangiato da qualcun altro. La tendenza alla compulsività quindi, affonda le sue primordiali radici anche nella paura che si possa morire di fame.

Va anche detto che nei momenti di abbondanza, il nostro cervello ha acquisito una plasticità tale nel riconoscere questa situazione producendo molti neurotrasmettitori del piacere e della gratificazione (serotonina, dopamina, endorfine, endocannabinoidi, ecc.). I circuiti cerebrali coinvolti in queste sensazioni si sono rafforzati, ingranditi, e hanno portato alla formazione del nostro cervello “moderno” più grande e più complesso. I nostri neuroni si sono abituati a dei veri e propri “boost” di piacere ogni qual volta che sperimentano un qualcosa di piacevole e gratificante. Il ricordo di quella sensazione molto appagante può portare ugualmente alla compulsività… esattamente come la paura di non avere del cibo.

La fame nervosa è un fenomeno naturale che merita rispetto e accettazione. Non è una colpa, ma piuttosto una connessione intrinseca con i nostri bisogni fisiologici.


Spiegate le basi biologiche ed evolutive della fame emotiva, forse ora è più semplice capire che il proprio comportamento alimentare non è sempre e solo frutto della forza di volontà.

Tutte le volte che mangiamo e sentiamo che le nostre emozioni prendono il sopravvento, dobbiamo considerare due aspetti.

1) Il cibo è un vero e proprio “ansiolitico meccanico”: il fatto di dover mordere, strappare, masticare, demolire fisicamente della materia più o meno solida funziona da forza di scarico su alcune situazioni di cui invece non abbiamo il controllo (situazione lavorativa frustrante? Contesto familiare difficile? Tormenti personali di varia natura?). Non a caso tutti i cibi che sono maggiormente ricercati per sedare o controllare le proprie emozioni sono quelli che richiedono un certo impegno meccanico: patatine fritte, biscotti, frutta secca. Capita raramente di sentirsi appagati emozionalmente mangiando uno yogurt o bevendo una tisana, perché manca la componente fondamentale della masticazione.

2) I cibi salati, zuccherati, grassi aumentano considerevolmente la produzione dei neurotrasmettitori del piacere. Mangiandoli, quindi, abbiamo una sensazione di temporaneo comfort dalle emozioni negative ma abbiamo anche una “rassicurazione energetica” primordiale: è come se il nostro cervello paleolitico intendesse che abbiamo finalmente cacciato un animale o incontrato dei frutti di bosco lungo il nostro cammino. Sperimentiamo quindi una sensazione di ricompensa che abbatte anche lo stress di sfamarci.

Anche se viviamo nell’epoca dell’abbondanza e in una parte del mondo dove il cibo non manca, il nostro cervello chiaramente non può saperlo (forse fra molte migliaia di anni le cose cambieranno?) e mette in atto tutta una serie di meccanismi fisiologici e metabolici che si manifestano poi con il nostro comportamento alimentare.

Ovviamente tutto questo non ci deve indurre a pensare di non avere potere decisionale (o di non poter lavorare sulla nostra
forza di volontà).
Dobbiamo solo capire che il nostro comportamento alimentare è frutto di una complicatissima rete di fattori in gioco.

Il mito delle diete detox: una visione critica sulla necessità ed efficacia

Oggi vorrei parlarti delle diete detox. Sono certa che in questi giorni ne hai sentito parlare attraverso tanti canali: tv, giornali, social sono pieni di consigli per “rimettersi in forma”, per “depurarsi” e per" “recuperare gli eccessi del Natale”.

Sai che mi piace sempre partire dall’inizio. E anche stavolta, non ti deluderò.

 

Il concetto di "dieta detox" (letteralmente “dieta che aiuta la detossinazione”), spesso è associato a quello di eliminazione di sostanze tossiche dal corpo. Tuttavia, il nostro organismo ha già un sistema di disintossicazione altamente efficiente, composto principalmente da fegato, reni, polmoni, intestino e cute (sì, anche la cute attraverso la sudorazione!) chiamati anche organi emuntori.

Il fegato è il principale organo coinvolto nella disintossicazione, metabolizzando ed eliminando le sostanze che il nostro corpo ritiene nocive. I reni filtrano il sangue, rimuovendo i rifiuti e l'eccesso di liquidi, stessa cosa fanno i polmoni con l’aria. Sicuramente già sai cosa fa l’intestino… La verità è che nessuna dieta detox può sostituire l'efficacia di questi organi nel mantenere il nostro corpo in equilibrio.

L'idea che una dieta particolare possa accelerare il processo di detossinazione non ha alcun fondamento scientifico.

Bere tisane drenanti, fare digiuni o mettere in pratica regimi ipocalorici altamente restrittivi che prevedono il consumo di un piccolo ventaglio di alimenti non aiuterà questi organi a lavorare con più efficienza.

Un altro falso mito che le diete detox alimentano è che oltre alla depurazione possa esserci un vantaggio in termini di perdita di peso e quindi di dimagrimento. Il peso però, e questo lo sappiamo bene, non si modifica semplicemente per un surplus calorico ma dipende da moltissime determinanti di salute che si creano nel tempo. Le variazioni di peso nel breve termine sono dovute prevalentemente all’accumulo di liquidi e al gonfiore intestinale e non sono indicative di cambiamenti duraturi. Per questo motivo non necessitano di detox.

Abbiamo già parlato dell’ambivalenza del digiuno intermittente e di dieta chetogenica con il puro scopo del dimagrimento a breve termine e della depurazione in questa newsletter, e abbiamo anche detto che hanno effetti limitati nel tempo e non sempre percorribili da tutti. Anche stavolta, il messaggio che voglio darti è chiaro: diete estreme che promettono di rimetterti in forma sono tra le più pericolose, non solo perché non fanno quel che promettono ma possono anche creare squilibri elettrolitici e nutrizionali.

Gli eccessi delle feste non hanno bisogno
di essere “recuperati”.

 Ma perché allora a volte sentiamo il bisogno di ritornare a mangiare in modo equilibrato e leggero, o addirittura di saltare i pasti o di digiunare per pochi giorni? Queste sensazioni non sono il messaggio chiaro che i nostri organi emuntori sono in difficoltà e quindi mangiando di meno possiamo aiutarli ad accelerare il processo di detossinazione?

No: la sensazione di pienezza è data da un eccessivo riempimento gastrico ed intestinale. L’affaticamento del fegato la maggior parte delle volte è silenzioso (quante persone senti lamentarsi di “mal di fegato”?), e soprattutto arriva dopo molti anni di comportamenti alimentari eccessivi e sbilanciati. Non dopo due settimane di festeggiamenti! E’ uno degli organi più grandi del nostro corpo (secondo solamente alla pelle) ed ha una fisiologia estremamente complessa disegnata dalla natura per lavorare alla massima efficienza e resilienza. Non sarà un estratto di frutta e verdura a dargli degli strumenti aggiuntivi per lavorare meglio, così come non saranno poche settimane di sbilanciamenti alimentari a mettere in crisi la sua attività.

Non dico che non sia giusto saltare dei pasti o di ridurre l’introito di cibo per alcuni giorni se ne sentiamo il bisogno. Dico che è sbagliato farlo pensando di:

  • poter dimagrire più rapidamente

  • dare “una scossa al metabolismo” per riprendersi in fretta

  • aiutare il fegato e tutti gli altri organi a lavorare meglio.

Piuttosto, è fondamentale concentrarsi su un'alimentazione equilibrata e sostenibile sul lungo termine. Includere una varietà di frutta, verdura, proteine magre, grassi buoni e carboidrati complessi fornisce al corpo e quindi anche agli organi emuntori i nutrienti necessari per funzionare correttamente riducendo il rischio di minare la loro fisiologia nel tempo.

Ti ho convinto Nome dell'abbonato a diffidare delle diete detox? Qual è la tua esperienza in merito? Sono curiosa di leggerti e di confrontarmi con te!

Le festività natalizie, croce e delizia

Il Natale spesso è considerato come l’ennesima complicazione al proprio percorso alimentare. C’è chi da una parte non riesce a godere di questi momenti per paura di esagerare, tentando resistenze e digiuni. Dall’altra, c’è chi si lascia completamente andare vivendo però nei giorni successivi grandi sensi di colpa, cercando di riparare con inutili regimi alimentari eccessivamente restrittivi.

Serenità: se durante tutto l’anno si è seguito uno stile alimentare equilibrato, qualche eccesso in più non comprometterà il tuo percorso di cambiamento.

Niente sensi di colpa, bensì consapevolezza.

Di seguito proviamo a chiarire qualche dubbio o perplessità che le festività natalizie portano sempre con se’.
Pronti? Via!

 

1) Quando potrei mangiare un po’ di più?

I giorni in cui si *deve* allentare un po’ di più l’attenzione a tavola sono la cena del 24 dicembre, il pranzo del 25 e il cenone del 31. Tutte le altre occasioni (pranzo del 24, cena del 25, tutto il 26, pranzo del 1° gennaio) dovrebbero rappresentare dei pasti normali ed equilibrati, ma gustosi, come quelli che seguiamo durante tutto l’anno. Non dimenticarti degli spuntini!  Ti aiutano a saziarti, a regolare la glicemia e la produzione di insulina e quindi ad arrivare all’occasione speciale con una fame moderata.

2) A Natale è possibile fare dei danni irreparabili?

No! E’ biologicamente impossibile ingrassare in periodo di tempo breve e particolarmente denso di calorie. L’aumento di peso che noti sulla bilancia nei giorni delle feste è dovuto prima di tutto alla ritenzione dei liquidi e all’aumento del volume intestinale.

Non pesarti durante questo periodo! L’ingrassamento vero e proprio è causato da un aumentato apporto di cibo cronico rispetto al proprio fabbisogno, cioè quando continui a sovralimentarti per settimane senza sosta, senza muoverti e quindi senza un dispendio energetico adeguato che controbilanci le calorie ingerite con i pasti.

3) Come posso gestire tutti gli eventi pre-Natalizi?

Pianifica in anticipo i pasti della giornata in cui hai un evento serale. Assicurati di consumare pasti equilibrati per evitare di arrivare troppo affamat* all'evento. Quando sei lì, opta per porzioni più piccole, scegliendo cibi ricchi di proteine magre, verdure e porzioni moderate di carboidrati. Limita il consumo di cibi ricchi di zuccheri aggiunti e grassi saturi. Attenzione anche all’alcol: alternalo con acqua o bevande analcoliche per ridurre il consumo complessivo e mantenere l'idratazione.

4) Come posso smaltire gli avanzi dei giorni di festa?

Puoi pensare di porzionare e poi congelare le pietanze un po’ più condite: consumate poco a poco in piccole quantità ovviamente non rappresentano un problema. Anche regalare dolci mai aperti, anziché tenerli in casa, potrebbe rappresentare una buona idea per tenere a bada le tentazioni. Se vuoi concederti qualche cosa in più, è meglio a colazione (cercando di bilanciarla bene con una fonte di proteine e di grassi buoni): c’è tutto il tempo, durante la giornata, di smaltirlo. Una fetta di panettone o pandoro, un pezzettino di torrone alla nocciola… un’occasione felice per festeggiare un periodo così speciale.

5) Ho il timore di risultare maleducat* se rifiuto il cibo offerto. Cosa fare?

Inizia sempre ringraziando per l'offerta con un tono caloroso e sincero. Poi, spiega gentilmente il motivo per cui stai rifiutando. Ad esempio, potresti dire: «Grazie mille per l'offerta, ma sono pien* ora» o «Apprezzo molto, ma sto cercando di fare scelte più leggere oggi». Se ti senti a tuo agio, puoi accettare una piccola porzione del cibo offerto. In questo modo, mostri apprezzamento senza dover mangiare una quantità eccessiva.

6) Non riesco a frenarmi dal mangiare ma poi so che mi pentirò. Cosa fare?

Zero sensi di colpa! Rifletti sulle ragioni per cui stai mangiando. Se mangi per rispondere a emozioni come noia, stress o tristezza, potresti essere coinvolt* in una fame emotiva. Imparare a distinguere tra fame fisica ed emotiva può essere utile, ma imparare a mangiare in modo consapevole implica molto esercizio, che non si fa durante le festività. Cerca di goderti in serenità il pasto condiviso con le persone, a tutto il resto ci si penserà dopo.

L'insidia delle diete iperproteiche

Iniziamo col chiarire che le proteine sono essenziali per il nostro corpo. Svolgono un ruolo fondamentale nella costruzione e nella riparazione dei tessuti, nella produzione di enzimi e ormoni, e nella salute generale dell'organismo. Ma quando la loro quantità nella nostra dieta inizia a rappresentare un problema?

Le linee guida generali di tutto il mondo suggeriscono un apporto proteico giornaliero che oscilla tra il 10% e il 35% delle calorie totali giornaliere. La dose giornaliera raccomandata (RDA, Recommended Dietary Allowance) di proteine per un adulto medio sedentario è di 0.8 grammi per kg di peso corporeo. Questo valore cresce leggermente, da 0.8 a 1.3 g per kg di peso corporeo al giorno, nei bambini e negli adolescenti a seconda dell’età e richiede un ulteriore integrazione nelle donne in gravidanza e in allattamento e negli atleti.

Ormai da molto tempo si è diffusa l’idea che una dieta ricca di proteine – abbinata all’esercizio fisico – sia efficace nell’aumentare la massa magra, cioè la massa muscolare, e nel ridurre quella  grassa, con effetti dimagranti. Ecco perché sono sempre più richiesti e commercializzati cibi proteici (che però in realtà proteici non sono, o comunque non di più rispetto a quelli già presenti in commercio) e dilaghino diete iperproteiche, spesso prescritte anche da professionisti dello sport. A questi spesso si aggiungono anche delle integrazioni di proteine in polvere.

È importante notare che la maggior parte delle persone, seguendo una dieta bilanciata, ottiene naturalmente abbastanza proteine senza la necessità di integratori o di alimenti fortificati.

Gli atleti e le persone coinvolte in attività fisica intensa possono avere esigenze proteiche leggermente più elevate, ma è sempre consigliato consultare un nutrizionista per valutare le esigenze individuali.

"Più proteine = più muscoli":
Un mito comune è che un eccesso di proteine porti
automaticamente a più muscoli.
In realtà, l'apporto proteico ottimale per la crescita muscolare dipende da vari fattori, inclusa la regolarità dell'allenamento.

Il dibattito scientifico su quali siano i benefici associati a un’alimentazione ricca di proteine è ancora aperto.

Quel che però è chiaro è che l'eccesso di proteine può portare a diversi problemi di salute, se persiste nel lungo termine e supera i livelli consigliati. Di seguito alcuni potenziali effetti negativi:

1. Problemi digestivi: consumare troppe proteine può causare problemi come costipazione, gas e gonfiore, poiché strutturalmente “impegnative” da digerire da parte del nostro intestino.

2. Sovraccarico di calorie e di grassi saturi: un abbondante consumo di alcune fonti proteiche, come carni grasse processate e formaggi, può portare a un aumento di peso e aumentare il rischio di malattie cardiovascolari a causa del contenuto di acidi grassi saturi e trans.

3. Effetti sulla salute ossea: alcuni studi suggeriscono che un consumo di proteine molto elevato può influire sulla salute ossea, a causa di un aumento dell'eliminazione di calcio attraverso l'urina.

Il dubbio però più grande legato a un eccessivo consumo di proteine è quello riguardante la salute dei nostri reni.

E’ ormai ampiamente dimostrato che un pasto iperproteico porta a un aumento della velocità di filtrazione glomerulare (GFR), un valore che indica la velocità con cui il sangue viene filtrato dai reni, e che ci fornisce preziose informazioni in merito alla salute dei reni e alla loro funzionalità.

Diversi studi hanno dimostrato che una dieta iperproteica protratta per periodi relativamente brevi (6-12 mesi) non ha effetti negativi su soggetti sani, ma rappresenta invece un rischio per quelli che soffrono già di patologie a carico dell’apparato urinario o per soggetti a rischio, cioè persone che soffrono di diabete, ipertensione e obesità. I reni sono quindi a rischio quando già è presente una malattia cronica, ma un consumo di proteine elevato per molto tempo potrebbe indebolire la salute anche dei soggetti sani e renderli più vulnerabili.

Inoltre, sembra esserci una differenza tra il consumo di proteine animali, in particolare carni rosse e processate, che porterebbero maggiormente allo sviluppo di patologie renali e cardiovascolari, e le proteine vegetali, in particolare legumi e frutta secca, che invece sembrano avere un effetto protettivo sulla salute di reni e cuore.

Sebbene siano necessari ulteriori studi per fare maggiore chiarezza è sicuramente prudente raccomandare ai soggetti con una funzionalità renale compromessa o a rischio (obesi, diabetici, cardiopatici) di evitare diete ad alto contenuto di proteine per perdere peso.

ATTENZIONE: protocolli chetogenici o a ridotto contenuto di carboidrati non sono diete iperproteiche bensì diete iperlipidiche e normoproteiche. Questo cambia molto la sicurezza di questo tipo di regimi, come ho già avuto modo di parlarne in questo articolo sulle diete chetogeniche.

Esiste il metabolismo lento?

Spesso tendiamo erroneamente a pensare che la parola metabolismo sia connessa solo a tematiche alimentari, e cioè a tutti quei processi fisiologici responsabili della perdita o dell’acquisizione di peso. In realtà non è così!


La definizione di metabolismo è molto più complessa, ed abbraccia tematiche fisiologiche varie. La sua definizione enciclopedica è “l’insieme delle trasformazioni chimiche che avvengono nella cellula per produrre energia e nuova materia”, che come puoi facilmente intuire può significare tutto o nulla.

Si tratta di un complesso di reazioni biochimiche di sintesi e di degradazione, che si svolgono in ogni organismo vivente e che ne determinano l'accrescimento, il rinnovamento, il mantenimento. Dire quindi che si ha un metabolismo lento non equivarrebbe solo a dire che perdiamo peso lentamente, ma anche che abbiamo - per tutta la vita e tutti insieme nello stesso momento -  un lento sviluppo dell’abbronzatura, oppure una lenta riparazione di una ferita, una lenta produzione di lacrime. A volte questi esempi che ho citato possono certamente verificarsi, ma non sono riferiti alla lentezza espressa in termini temporali: spesso sono riferiti alla scarsa efficienza di funzionalità, che è un concetto tutto diverso.

Il processo di perdere peso è solo una piccolissima parte dei miliardi di processi metabolici che avvengono contemporaneamente tutti i giorni della nostra vita.

Il perdere peso lentamente non è sinonimo di metabolismo lento.

La confusione nasce dal fatto che tendiamo a considerare come sinonimi le parole metabolismo e metabolismo basale (sottogruppo del metabolismo), che è invece il minimo dispendio energetico del nostro corpo necessario per rimanere in vita e per assicurare le funzioni di base. Questo sì che può aumentare o diminuire (mai bloccarsi!), e dipende da numerosi fattori: alimentazione, attività fisica, età, clima, temperatura corporea, gravidanza/allattamento, menopausa, composizione corporea, patologie ormonali e di altro genere, genetica, sonno e stile di vita. Se gestiti male, tutti questi fattori culminano con il sovrappeso, e di conseguenza con un rallentamento del metabolismo basale.


Quindi mentre non ha senso parlare di metabolismo lento, potrebbe aver senso parlare di metabolismo basale diminuito e di perdita di peso lenta o bloccata: quest’ultima come abbiamo detto può essere la conseguenza (e non la causa) di molti fattori, in primis il sovrappeso.


Ricorda quindi che, se fai fatica a perdere peso, non dipende da un metabolismo lento. E’ il tuo metabolismo basale che non è ottimale perché c’è un eccesso ponderale!

5 diversi buoni propositi per il nuovo anno

Mi rendo conto di quanto poco durino i buoni propositi che ogni primo dell'anno una persona segna sulla propria agenda nuova, da inaugurare, da riempire con ordine o distrattamente. Finito l'entusiasmo delle feste e dei ritmi più lenti, le liste stilate con così tanta cura finiscono nel cassetto. L'ho fatto anche io per anni. Poi, con il tempo, ho delineato la mia lista di priorità che cerco di rinverdire ogni weekend per 10 minuti, davanti a un caffè forte e alla mia Moleskine.
Non ha nulla di perfetto o di stabile, ma mi fa stare bene ogni volta che la leggo.

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1. Planare sulle cose dall'alto, non avere macigni sul cuore. Calvino mi aiuta a descrivere un concetto importante. Cercare di vivere le situazioni non di certo in maniera distaccata, ma serena, abbandonandosi al flusso degli eventi. Questo non presuppone un atteggiamento passivo, tutt'altro. Essere proattivi è la conditio sine qua non che ci permette di lavorare sui macigni più pesanti, i nostri mostri nell'armadio che se tenuti nascosti diventeranno limitanti.

2. Circondarsi di persone stimolanti. Jim Rohn dice che siamo la media delle 5 persone che frequentiamo di più. Chi è più presente nella nostra vita ci definisce, e influenza il nostro atteggiamento nei confronti della vita. Attuare una selezione delle persone che ci ispirano, che hanno da insegnarci e che ci stimolano a diventare esseri umani migliori non significa rinnegare il nostro passato. Semplicemente significa cosa scegliere di condividere e con chi.

3. Viaggiare. Personalmente viaggiare rappresenterà sempre una priorità. La maggior parte delle volte non c'è bisogno di allontanarsi tanto, altre volte i km di distanza vanno di pari passo con la portata della sfida che poniamo a noi stessi. Viaggiare non è sempre piacevole, e a volte mi ha fatto sentire scomoda, inadeguata e sofferente. Ma permette di conoscere le parti essenziali di se', quelle ancestrali. C'è uno strano motivo, che ancora non riesco a definire, che mi porta ogni volta a voler uscire dalla mia zona di conforto...

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4. Prendersi delle pause. Come un post-it attaccato al frigorifero, cercherò sempre di tenerlo a mente. Abbiamo bisogno di pause. Una giornata alle terme, una lezione di yoga in mezzo alla natura, un libro in un bar del centro la domenica mattina. Staccare aiuta a focalizzare meglio le criticità della nostra routine e dar loro una valenza diversa. Dedicare del tempo a se' cambia la nostra qualità di vita, e la mia migliora il sabato mattina, quando mi dedico una colazione lenta, a casa o in posto del cuore.

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5. Alimentarsi e muoversi con coscienza. Mangiare consapevolmente, avere una vita attiva. Nulla di tutto ciò ha a che fare con imposizioni dietetiche restrittive e sofferenze in palestre affollate. Non c'è niente di più gratificante che mantenere un'alimentazione sana ma appagante per poi concedersi con equilibrio quello che il nostro lato goloso ci chiede.. magari insieme a una passeggiata in centro o a una camminata veloce fra gli alberi, le montagne o sulla spiaggia. Una corsa liberatoria, una nuotata al tramonto, una pedalata fra le vetrine dei negozi che ci piacciono.

Questa è la vita che sogno, e che auguro a tutti.
Perché ne abbiamo bisogno, perché in fondo ce lo meritiamo.

Buon anno nuovo!

Quando mangiare diventa un'esperienza

Fino a poco tempo fa non prestavo molto interesse alla cucina gourmet. Ma cosa significa veramente cucina gourmet? Significa bella da vedere e buona da mangiare. Che sia caratterizzata da pietanze raffinate, gustose, impiattate in modo impeccabile ed elegante. Che riesca a penetrare tutti i cinque sensi, e non solo il gusto.
Ma a mio avviso significa molto di più: è un viaggio alla ricerca dei sapori, degli abbinamenti perfetti, di una storia da raccontare, di un'esperienza da vivere. 

Facciamo un piccolo passo indietro. L'attenzione allo strettissimo legame fra cibo e personalità e su come il primo influenzi la seconda, venne amplificata durante il '700 in Francia, in pieno periodo illuminista. La caratterizzazione del nostro pensiero e del nostro modo di essere per la prima volta pose la lente d'ingrandimento su ciò che mangiamo. Iniziò così una vera e propria rivoluzione intellettuale, che nel 1896 incontrò la genialità di André Michelin (fondatore col fratello Edouard dell'omonima azienda francese di pneumatici) con l'idea di pubblicare una guida per i turisti dei migliori ristoranti dove mangiare e dei migliori hotel dove soggiornare. Inizialmente la guida Michelin si estendeva solo sul territorio francese, mentre oggi, a più di 100 anni dalla prima pubblicazione, copre oltre 20 paesi ed è arrivata alla sua 67esima edizione. Il giudizio dei ristoranti, e di conseguenza degli chef che ne sono a capo, viene espresso in stelle (con un minimo di una e un massimo di tre) ed elaborato sulla base dell’esperienza vissuta da “ispettori” completamente anonimi, che si spostano da struttura a struttura ogni 18 mesi.

       La stella Michelin

       La stella Michelin

Facevo parte di un pregiudizio -davvero infondato- che la cucina ad alti livelli rappresentasse un capriccio o un vezzo di chi avesse qualcosa da ostentare. Da sempre associamo l'autenticità della cucina come l'espressione della tradizione popolare, come un qualcosa di estremamente familiare, con pochi fronzoli. Per contro, guardiamo con sospetto un ristorante che fa cucina pregiata, il classico luogo in cui "si spende tanto ma si mangia poco". Questo probabilmente ha a che fare con retaggi antichissimi del cibo associato a una necessità, e non a un capriccio. Ma se ci fermiamo a pensare, la cucina popolare non è così profondamente legata a noi stessi proprio perché ci ricorda il focolare domestico, o contesti particolari della comunità e dell'ambiente nel quale siamo cresciuti e nel quale abbiamo forgiato noi stessi? Perché uno chef non può avere la stessa opportunità, ossia quella di esprimere se stesso e i suoi ricordi attraverso le sue mani associando ricordi con sapori e odori, colori e sensazioni tattili?

Esistono tante forme d'arte: la pittura con i suoi quadri dei musei o dei mercatini d'antiquariato, i concerti di un artista che non perderemmo per niente al mondo, un'opera lirica in un teatro che ci emoziona ogni volta che ne varchiamo l'entrata. L'arte è un'espressione personale del proprio mondo interiore; lo stesso vale per la cucina. Anche esprimere se stessi mediante la ricerca delle materie prime perfette, degli ingredienti di qualità, degli accostamenti di sapore che si fondono al palato è una forma d'arte. Ma volte non riusciamo a capirlo, e pensiamo che sia un argomento di nicchia. Come recita la frase introduttiva di questo blog, "mangiare è amore, passione, condivisione". Ma lo è anche cucinare, preparare delle pietanze che riescano a trasformare l'universo di una persona in un qualcosa di concreto, quantificabile, reale.

Ho aspettato tanti anni prima di concedermi una vera cena gourmet, e la voglia che poi mi ha spinto a farlo è arrivata grazie ad una mostra a Madrid sulla genialità di Ferran Adrià, il celebre chef che tutto il mondo conosce per la sua cucina molecolare, e alla serie televisiva su Netflix Chef's Table. Si tratta di un documentario a più puntate a mio avviso illuminanti, impreziosite da una fotografia e da una sceneggiatura commoventi.

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Ogni episodio parla della storia personale di uno chef, e dell'ascesa della propria carriera che lo ha infine portato all'apertura del proprio ristorante (stellato o non). Quello che mi ha colpito fin da subito è stato l'approccio intimo e personale che ogni chef ha scelto di adottare nel raccontare la propria esperienza. Sono venuta a conoscenza di storie toccanti e rare, in cui il ruolo di "cuoco" viene ben presto sostituito da quello di una persona che ha conosciuto il dolore, la disperazione, le difficoltà ma anche momenti felici ed esperienze irripetibili, che hanno forgiato il suo carattere e la sua personalità. Le emozioni che tutti i protagonisti della serie hanno vissuto durante la loro vita sono tornate a vivere nei loro piatti. I sapori, gli odori, i colori delle pietanze sono un attuale viaggio nel passato, un rivivere i ricordi più intensi che li hanno portati ad essere le persone di successo che sono oggi.

Si passa dai racconti degli attacchi di panico di Dan Barber (Stati Uniti), alle condizioni climatiche sfavorevoli della Svezia di Magnus Nillson, alla ricerca dell'essenza della vita della monaca buddista Jeong Kwan. Una perla fra tutte: Dominique Crenn, chef donna stellata di un ristorante di San Francisco, Atelier Crenn, decide di rivivere i suoi ricordi felici di bambina durante le lunghe passeggiate con il papà nelle foreste della Francia con un piatto stupefacente: "Walk in the Forest". Poesia pura.

La serie è alla sua terza stagione (con un piccolo spin-off di Chef's Table Francia), e la prima ha visto come protagonista anche l'italiano Massimo Bottura, che nel 2016 con la sua Osteria Francescana ha raggiunto il vertice della classifica dei 50 migliori ristoranti del mondo secondo la Società San Pellegrino. Tutte e tre le serie parlano di uomini e donne meravigliosi, che hanno vissuto esperienze altrettanto meravigliose, e che le hanno guidate dagli abissi della disperazione al trionfo della loro autenticità.

Meringa affumicata al legno di pino, segale, funghi ed erbe spontanee con nocciole."Walk in the Forest" di Dominique Crenn.

Meringa affumicata al legno di pino, segale, funghi ed erbe spontanee con nocciole.
"Walk in the Forest" di Dominique Crenn
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Solo quando si capisce cosa c'è realmente dietro la composizione di un piatto si riesce a coglierne l'essenza profonda. Ed ecco allora che si entra in uno stato mentale di gratitudine e riconoscenza, in quanto mettere a nudo le proprie emozioni attraverso il cibo non ha meno valore di scrivere una biografia, o di dipingere un quadro, o di cantare un testo. Gli chef che riescono a penetrare la sensibilità delle persone sconosciute attraverso i cinque sensi sono degli artisti, e il ristorante la loro opera d'arte. Quando il prodotto finale racchiude creatività, ingegno, genialità ma soprattutto personalità, si ha raggiunto il proprio scopo. E il loro prezzo diviene giustificato. Contrariamente a quanto si pensa, da questo tipo di ristoranti si esce tutt'altro che affamati: se si decide di optare per un menù a più portate (sempre consigliato, per cogliere la vera essenza dello chef), assicuro che si uscirà pieni e felici. Perché ci si sarà resi conto di aver vissuto una vera e propria ESPERIENZA.

Un ristorante di qualità non presta attenzione solamente al piatto. Dà molta importanza anche all'atmosfera, alla scelta dei colori delle pareti, ai materiali e ai mobili d'arredamento, al set della tavola, al modo in cui è apparecchiata, fino al personale che presenta ogni portata in un certo modo. Quasi sempre, troverete un ambiente caldo ma profondamente minimalista, quasi come a creare quell'anticamera delicata e discreta che lascia successivamente spazio al vero protagonista della serata: il cibo. Una tavola bianca, con una tovaglia candida in cotone o in lino, un centrotavola in cristallo con un solo fiore o un ramo secco: in questo modo ci si predispone ad una vera e propria esperienza di felicità. 

Parlerò presto delle mie esperienze da gourmand, dando un nuovo taglio al blog. Parleremo ovviamente di nutrizione ma anche del significato profondo dell'atto del mangiare.

Un blog sulla nutri-felicità.

Bentrovati! 

Cosa è veramente il "No Diet Day"?

Cosa è veramente il "No Diet Day"?

Il 6 maggio di ogni anno si celebra il "No Diet Day", la giornata mondiale del rifiuto alla dieta. Durante questa giornata ognuno può sentirsi libero di mangiare tutto quello che vuole, dimenticandosi dell'incubo delle calorie, dell'aumento del peso e delle malattie ad esso correlate. E' stato istituito nel 1992 da Mary Evans Young in memoria di una persona che, in seguito ad atti di bullismo a causa del suo aspetto fisico, decise di porre fine alla propria vita.

Vitamina D, quello che non ci avevano detto

Da tempo ormai la vitamina D è stata dichiarata un ormone: una molecola importante non solo per la fissazione del calcio e per la salute delle nostre ossa, ma anche per una comunicazione importante che attua all'interno degli adipociti, le cellule del nostro corpo in cui viene stoccato il grasso. La vitamina D sarebbe in grado di "comunicare" con il nostro DNA e mettere in moto tutta una serie di processi nutrigenomici positivi. Non a caso è stata chiamata "la vitamina anti obesità". La popolazione italiana è in forte carenza di vitamina D, anche la più giovane, che non misura mai i propri livelli nel sangue. Non trattandosi di un esame che si effettua regolarmente prima dell'arrivo della menopausa, se ne sottovaluta l'importanza. Invito almeno una volta l'anno a misurare il proprio livello di vitamina D, potreste rimanere stupiti dei risultati.

Il 90% della produzione di vitamina D è endogena, grazie all'azione dei raggi del sole sulla cute. E' dunque importantissimo esporsi regolarmente alla luce del sole, ma altrettanto importante proteggersi dai raggi UV mediante delle creme solari. La loro applicazione infatti non ostacola comunque l'assorbimento della luce e di conseguenza la produzione di vitamina D.

 Il restante 10% invece si ottiene dagli alimenti. Lo sapete quali sono i più ricchi?

  • Alcuni pesci azzurri, come l'aringa, le alici, il salmone e i rispettivi olii
  • fegato
  • uova, burro, e i latticini in generale.

Cerchiamo di diventare più consapevoli, anche in giovane età, del nostro stato di salute. L'equilibrio e la varietà a tavola portano molti più benefici di quanto si possa credere, che non si limitano solamente al dimagrimento.

Il vero volto del latte

lattefresco

E’ in corso, ormai da svariati anni, un acceso dibattito scientifico circa il ruolo del latte vaccino nella nostra vita quotidiana. Fa bene? Fa male? E’ utile per le nostre ossa perché contiene calcio? Le sue proteine aumentano il rischio di tumori?
La verità è che ancora non lo sappiamo. O per lo meno non lo sappiamo ancora con certezza.

Se da una parte è presente una forte fazione di studiosi (e di linee guida) che ritiene che il latte sia un alimento prezioso perché contiene calcio, proteine nobili, e perché contribuisce alla crescita dei bambini e alla mineralizzazione delle ossa, dall’altra è presente un altrettanto forte gruppo che sostiene che il latte vaccino in realtà faccia più danni che altro.

Mi preme sottolineare che il consumo di latte vaccino da parte degli adulti è un’abitudine strettamente occidentale: in Asia, Africa e altre parti del mondo il latte è utilizzato solo per i neonati e nei primi anni di vita. Adesso che con la globalizzazione le abitudini si stanno mescolando, la questione diventa più confusa. In effetti, parlando da un punto di vista strettamente evoluzionistico, l’adulto non è pienamente “equipaggiato” per digerire il latte. Il lattosio, lo zucchero maggiormente presente nel latte, richiede per essere digerito la presenza di un enzima, la lattasi, prodotta solo nei primissimi anni di vita. Il nostro organismo adulto si è relativamente adattato e ne produce un po’ di più nel corso della vita (a patto che però il latte venga consumato regolarmente), anche se non è un caso che in generale il latte, da tantissime persone, venga utilizzato solo come lassativo la mattina e non perché piaccia davvero: tantissimi miei pazienti sostengono di non tollerare il gusto del latte, ma di avere necessità di assumerlo all’inizio della giornata, e per questo lo combinano con il caffè per camuffare il suo sapore. Esistono poi persone intolleranti al latte, o persone allergiche alle proteine del latte, come ben sappiamo.

Il calcio di per se è un minerale molto importante che serve alla costruzione e al mantenimento delle nostre ossa e dei denti (90% del calcio corporeo totale!), la produzione di cellule del sangue, la trasmissione degli impulsi nervosi e così via. I latticini ne sono sicuramente la fonte maggiore, seguiti dalle verdure a foglia verde, come salvia, rughetta, cicoria, bieta, cavoli, broccoli, fagiolini, ma anche legumi e cereali integrali. E’ anche vero però che il latte contiene degli acidi organici e delle proteine che richiamano calcio dalle ossa per essere smaltiti. Parte di un importantissimo studio condotto ad Harvard, l’Harvard Nurses' Health Study, durato circa 12 anni, ha infatti dimostrato che un maggiore utilizzo di latte è associato a un rischio maggiore di fratture dell’osso in età avanzata e a una maggiore incidenza di osteoporosi. L’osteoporosi è una patologia caratterizzata dalla perdita progressiva di massa ossea. Un individuo sano che assume un buon quantitativo di calcio nella sua dieta quotidiana e che svolge regolare attività fisica, costruisce il suo osso fino all’età di 30 anni circa, dopodiché inizia ad indebolirsi.

Sembrerebbe che per prevenire l’osteoporosi il latte non serva a molto, poiché più di mezzo litro al giorno potrebbe addirittura favorirla. E’ importante sì assumere calcio (anzi, importantissimo), ma è non di certo l’unico modo per prevenire la comparsa dell’osteoporosi. I segreti condivisi da tutte le linee guida sono:

  • regolare esercizio fisico. L’attività fisica, vista come uno “stress” dall’organismo, lo induce a rafforzare le ossa per renderle più dense e resistenti. Camminare, danzare, correre, arrampicarsi sono attività fondamentali per la salute del nostro scheletro e dei nostri muscoli (che se ben strutturati, prevengono anche il rischio di cadute in età avanzata).
  • assumere dosi adeguate di vitamina D. La vitamina D “comunica" con intestino e reni, rispettivamente per incoraggiare l’assorbimento del calcio e per minimizzare la sua perdita attraverso le urine. Per la salute delle ossa, un’adeguata assunzione di vitamina D non è di certo meno importante dell’assunzione di calcio. Si trova nel latte e negli integratori, ed è prodotta endogenamente dalla nostra pelle in seguito all’esposizione al sole. 
  • assumere vitamina K. Aiuta moltissimo la regolazione di calcio e la formazione di ossa. Si trova nei broccoli, cavoletti di Brussels, lattuga e più in generale ortaggi a foglia verde.

L’aspetto più controverso di tutta la questione è comunque quella legata alle proteine del latte (una fra tutte: la caseina, demonizzata in celebri libri come The China Study), che sembrerebbero avere un effetto negativo sullo stato infiammatorio immunitario dell’organismo. Altererebbero l’asse ormone crescita aumentando il rischio di diabete mellito, malattie cardiovascolari, tumori, disordini neurodegenerativi. Come già anticipato prima, inoltre, il loro smaltimento insieme a quello di acidi organici presenti nel latte verrebbe operato grazie alla ricettazione del calcio dalle ossa. Il latte che ci ritroviamo a bere potrebbe inoltre contenere anche cellule somatiche di mucca, contaminazioni batteriche, residui di antibiotici, ormoni, tutte regolamentate dalla legge, che pone però solamente dei limiti. Soprattutto la questione degli ormoni e dei fattori di crescita è ben sostenuta da chi teme che il latte aumenti il rischio di tumori (all’ovario, alla prostata, ecc.)

Tutte queste sono però ipotesi, supposizioni, od evidenze che necessitano assolutamente di maggiori studi e prove. Il mondo scientifico, ad oggi, ha idee ancora confuse e sommarie sul vero volto del latte vaccino nella nostra dieta quotidiana. Per adesso, quello che possiamo fare è attenerci alle linee guida, quindi di non consumare più di 1-2 bicchieri al giorno di latte e di alternarlo ad altre fonti di calcio. Per chi non lo ha mai bevuto, può continuare a non berlo.